Quando forze dell’ordine e magistratura arrestano un boss la politica esulta e sforna a raffica comunicati stampa. Quando il boss è nelle mani dello Stato e ci sarebbe da pronunciare una parola – una che sia una – per proteggere la Giustizia, invece, la politica perde la parola. Sta accadendo anche con Matteo Messina Denaro, il “capo dei capi” di Cosa nostra che dopo la latitanza per sfuggire alla cattura ora si dedica alla latitanza in Aula (è un suo diritto) lasciando vuota la sedia nel processo per le stragi di Falcone e Borsellino e intanto intorno a lui accadono cose che meritano di essere raccontate.
Matteo Messina Denaro ora si dedica alla latitanza in Aula lasciando vuota la sedia nel processo per le stragi di Falcone e Borsellino
Partiamo dall’inizio. Dopo essere stato arrestato il 16 gennaio dopo quasi trent’anni di latitanza il boss scelse come avvocata la nipote Lorenza Guttadauro, figlia di Filippo Guttadauro, boss di Brancaccio al momento è detenuto a Tolmezzo e di Rosaria, la sorella di Messina Denaro. Alla prima udienza utile del processo di secondo grado sulle stragi del ’92 (in primo grado Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo) il 18 gennaio l’avvocata chiese di avere il tempo di studiare le carte del processo. Permesso accordato. L’avvocata decide di saltare l’udienza successiva, nonostante avesse chiesto di poter partecipare in videoconferenza. Si va all’8 marzo, quando Lorenza Guttadauro avrebbe dovuto pronunciare l’arringa difensiva. Niente da fare. Oltre alla sedia del boss rimane vuota anche la sedia della nipote.
Arriva anzi la rinuncia all’incarico di fronte alla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta. Qualche giorno prima sua madre (sorella del boss) era stata arrestata con l’accusa di avere amministrato la cassa di famiglia e avere gestito la rete di pizzini. Il boss non sceglie un avvocato di fiducia e l’incarico ricade su Calogero Montante, nominato d’ufficio. Il penalista, però, aveva comunicato di voler rinunciare al mandato per incompatibilità visto che in passato è stato difensore d’ufficio del falso pentito Vincenzo Scarantino, nel processo Borsellino Quater, e perché ricopre la carica di vice procuratore onorario alla Procura di Palermo.
Giovedì 9 marzo, al termine di una breve camera di consiglio, la Corte d’assise d’appello aveva confermato Montante come difensore d’ufficio di Messina Denaro. E poi aveva rinviato l’udienza al 23 marzo per le conclusioni della difesa. Passa qualche giorno e l’avvocato Montante viene minacciato al telefono: “Sono un amico di Matteo, perché non lo vuoi difendere? Vuoi morire?”, dice un anonimo al telefono. Parole dalla politica? Praticamente nessuna. I membri del governo che inneggiavano allo “Stato forte” scippando i meriti agli investigatori? Niente. Eppure sarebbe stato utile e importante che lo Stato dicesse con parole forti che nessuno dovrebbe sentirsi solo, ancora di più con il mafioso in cella.
Arriviamo a ieri. L’avvocato Montante presenta un certificato medico: trenta giorni di assenza. Nessuno che ha il coraggio di dire il non detto, di chiamare le cose con il loro nome: la forza dell’intimidazione. Stavolta la corte, presieduta da Maria Carmela Giannazzo, ha dovuto prendere atto dell’impedimento e, dopo una breve riunione in camera di consiglio, ha esonerato il legale e nominato il nuovo difensore d’ufficio. La nuova avvocata Adriana Vella assicura di non avere paura. Il processo dovrebbe ripartire il 25 maggio. La politica evidentemente non ha ancora finito di brindare e si è persa gli sviluppi.