Il “centralismo democratico” della Cgil funziona. Il segretario del sindacato, Maurizio Landini, aveva raccomandato una contestazione “composta” alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per rispettare la scelta di invitarla al congresso nazionale e i 24 delegati in disaccordo con la scelta del loro segretario hanno abbandonato la sala intonando “Bella ciao”. Lei, Giorgia Meloni, questa volta si è presentata preparata (sarà forse la mano del suo nuovo consigliere Mario Sechi) e risponde ai fischi elargendo il solito vittimismo travestito da simpatia: “Mi sento fischiata da quando ho 16 anni”, ha detto. “Potrei dire che sono Cavaliere al merito su questo”.
Contestazioni soft per l’intervento della Meloni al Congresso della Cgil di Rimini. Il premier si è preso la scena senza alcun contraddittorio
In sala si notano i peluche colorati che silenziosamente rimandano alla strage di Cutro. Sui cartelli dei contestatori all’esterno dice alla platea: “Ringrazio anche chi mi contesta, in alcuni casi con slogan efficaci: ‘pensati sgradita’. Anche se non sapevo che Chiara Ferragni fosse una metalmeccanica”. La sfida al sindacato è tutta su salario minimo e reddito di cittadinanza, gli stessi punti su cui si erano confrontati i leader dell’opposizione il giorno precedente.
“Vogliamo retribuzioni adeguate – ha spiegato Meloni – ma voglio ribadire che per raggiungere questo obiettivo il salario minimo legale non è la strada più efficace perché la fissazione per legge di questo non sarà una tutela aggiuntiva, rispetto a quella della contrattazione collettiva, ma potrebbe diventare sostitutiva, facendo un favore alle grandi concentrazioni economiche. La soluzione, a mio avviso, invece è stendere contratti collettivi a vari settori e intervenire per ridurre il carico fiscale sul lavoro”.
Dal no al Salario minimo all’abolizione del Reddito di cittadinanza, la Meloni ha intortato il sindacato con i soliti slogan da talk show
Per la premier il reddito di cittadinanza “ha fallito gli obiettivi per cui era nato perché a monte c’è un errore: mettere nello stesso calderone chi poteva lavorare e chi non poteva lavorare, mettendo insieme politiche sociali e politiche attive del lavoro”. Noi, ha detto Meloni, “vogliamo tutelare chi non è in grado di lavorare, chi ha perso il lavoro, gli invalidi ecc. ma per chi può lavorare la soluzione è creare posti di lavoro, inserire queste persone in corsi di formazione anche retribuiti”.
Perché, ha sottolineato, “la povertà non si abolisce per decreto”. Poi un passaggio sui salari che “sono bloccati da 30 anni dato scioccante perché l’Italia ha salari più bassi di prima del ‘90 quando non c’erano ancora i telefonini. In Germania e Francia sono saliti anche del 30%. Significa che le soluzioni individuate sinora non sono andate bene e che bisogna immaginare una strada nuova che è quella di puntare tutto sulla crescita economica”. E ancora: “Nella sua relazione Landini ci chiede ‘cosa vi hanno fatto i poveri?’. Non ci hanno fatto niente…
È per questo che non vogliamo mantenerli in una condizione di povertà come ha fatto il reddito di cittadinanza. L’unico modo per uscire da quella condizione è il lavoro”. Cosa debbano fare i poveri mentre il lavoro non c’è Meloni si è scordata di raccontarlo. Meloni accenna poi alla crisi di natalità in Italia (tema storicamente caro alla destra) parlando di “glaciazione demografica” e furbescamente condanna l’assalto “degli esponenti di estrema destra alla Cgil” pareggiandolo con le azioni “dei movimenti anarchici che si rifanno alle Br”.
Parte un timido applauso che si spegne immediatamente con lo strumentale paragone successivo. L’unico ad applaudirla sui social, manco a dirlo, è Carlo Calenda. E qualcuno della Cgil mugugna che “a Meloni è stato offerto un palco, un comizio di mezz’ora contro le misure di sostegno ai poveri leccando le “aziende che creano ricchezza”.