Quarantacinque anni fa il sequestro di Aldo Moro e l’uccisione degli uomini della sua scorta. Il presidente della Democrazia cristiana sarebbe stato ucciso dopo 55 giorni di prigionia e il suo cadavere fatto ritrovare in via Caetani. Centinaia di libri sono stati pubblicati sulla vicenda e sul triste epilogo di una delle pagine più buie della storia recente.
Parla il Premio Pannunzio per la saggistica, Carlo Gaudio: “L’ex leader Dc Aldo Moro nascose tra le righe il suo grido di aiuto”
E spesso il politico di Maglie è stato ritenuto poco lucido quando scriveva le lettere che i postini delle Brigate rosse facevano in modo che venissero recapitate. Questa tesi è stata smontata da un poderoso lavoro condotto da Carlo Gaudio, primario cardiologo universitario per professione e giornalista-scrittore per passione con una decina di titoli all’attivo, ne L’urlo di Moro. Pubblicato dall’editore Rubbettino, il libro si è aggiudicato il Premio “Mario Pannunzio” per la saggistica. La tesi di Gaudio è che non solo Moro fosse lucido quando vergava quei fogli, ma che tra le righe aveva inserito degli elementi utili a individuare il covo dove era tenuto prigioniero. Sarebbe bastato anagrammare alcune frasi.
Professor Gaudio, ci spieghi perché l’Urlo?
“Premetto che con il mio lavoro mi sono posto l’obiettivo di restituire a Moro quell’integrità mentale negatagli dopo l’arrivo delle sue lettere che si dicevano scritte sotto dettatura. Perfino una psico-grafologa avallò questa tesi della costrizione che si è rivelata un grosso depistaggio. L’urlo si riferisce alla richiesta di aiuto di Moro nascosta tra le righe che non fu colta”.
Su quali elementi si basa questa sua convinzione?
“Ho analizzato lettera per lettera gli scritti di Moro e nella prima missiva recapitata a Cossiga del 29 marzo 1978, il presidente Dc aveva avuto la lucidità necessaria per inserire anagrammata l’indicazione del luogo dov’era tenuto prigioniero. La frase “che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato” era un perfetto anagramma di: “e io so che mi trovo dentro il p.o uno di Montalcini n.o otto”, indicando al Ministro degli Interni, capo delle forze di pubblica sicurezza e dell’intelligence del Paese, l’esatta posizione della prigione in cui Moro era detenuto”.
Altri elementi a conforto della tesi del suo libro?
“Nella lettera alla moglie Eleonora del 5 aprile 1978, Moro interrompe i saluti, insolitamente ripetuti due volte (“Vi abbraccio tutti…”, “Un grande abbraccio per tutti”), con due frasi in sequenza, anomale, assolutamente fuori contesto. La prima, che sembra ispirata da toni di rimembranza (“La giovinezza ha il dono della fermezza e di un po’ di alternativa”); la seconda, che pare assumere accenti lirico-mistici (“Io poso gli occhi dove tu sai e vorrei che non dovesse mai finire”). La prima viene tradotta nell’anagramma: “digli, devono: io ho un’alternativa della pazza linea di fermezza”, per spingere Noretta ad agire, sui Ministri e sugli amici, in favore della trattativa da lui più volte caldeggiata. Esortazione alla quale segue il messaggio cifrato più importante “Io poso gli occhi dove tu sai e vorrei che non dovesse mai finire”, che nasconde un altro perfetto anagramma, che rivela il dubbio atroce che Moro, forse, ha già maturato circa l’inazione degli uomini del suo Partito: “O forse che io dovevo essere chiuso prigione di via Montalcini?”.
Quindi Moro poteva essere salvato?
“Ci sono alcune pagine del diario di Amintore Fanfani, custoditi nell’Archivio Storico del Senato della Repubblica), secondo me illuminanti. Il 7 aprile 1978, il Presidente del Senato annota che i vertici Dc hanno già predisposto un organigramma per spartirsi tutte le poltrone disponibili, perfino quella occupata da Aldo Moro ancora vivo”.