Nessuna polemica. Nessuna critica. Nessuna dichiarazione. Tutto è avvenuto nel silenzio più totale. Fatto sta che pochi giorni fa, esattamente il 9 marzo, si è insediato a Roma il nuovo ambasciatore d’Egitto. Fin qui tutto normale, ci mancherebbe. Se non fosse che il diplomatico in questione è Bassam Rady, un nome che molto probabilmente non dirà nulla ai più. Ma parliamo del portavoce di Abdel Fattah al-Sisi (nella foto) per ben cinque anni.
Si è insediato a Roma l’ambasciatore d’Egitto, Bassam Rady. Si occupò anche del caso Regeni come portavoce di al-Sisi
Ha vissuto dunque da protagonista le vicende (e i silenzi) relative tanto a Giulio Regeni che a Patrick Zaki. Una scelta secondo molti inopportuna, probabilmente effettuata dall’Egitto proprio per sottolineare la sua posizione sui casi che hanno creato non pochi attriti tra Roma e Il Cairo. Di contro, però, il governo Meloni nulla ha fatto o detto nulla per porre dubbi sull’opportunità di tale scelta da parte della presidenza egiziana.
Ma la storia non finisce qui. A rendere la vicenda ancora più curiosa è la successione cronologica degli eventi. Per capire di cosa parliamo bisogna tornare al 18 maggio scorso: è allora che al-Sisi nomina Bassam Rady nuovo ambasciatore d’Egitto in Italia e San Marino. Dopo tale decreto presidenziale di nomina, però, qualcosa accade. O, meglio, non accade: nonostante non ci siano state dichiarazioni esplicite o posizioni chiare in merito, sulla nomina cala una sorta di silenzio e di stallo prolungato.
La legge, infatti, prevede che dopo la nomina dello Stato straniero, il Paese ospitante – in questo caso l’Italia – deve esprimere il “gradimento” (secondo quanto previsto dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961), che è presupposto necessario affinché lo Stato accreditante possa effettivamente inviare un agente diplomatico nel Paese di destinazione. In Italia questa procedura è interamente seguita dalla Farnesina che, dopo aver raccolto parere ed eseguito analisi ad hoc, invia il materiale alla presidenza della Repubblica che ovviamente ha l’ultima parola in materia di accreditamento.
Ma non è tutto: la fase successiva alla concessione del gradimento prevede la presentazione delle lettere credenziali al Presidente della Repubblica e solo a partire da quel momento l’ambasciatore designato assume effettivamente le piene facoltà di capo missione. Ebbene, nonostante la nomina in Egitto come detto risalga a maggio, il gradimento è stato espresso solo ad agosto. Non solo. Le lettere di accreditamento sono arrivate il 9 marzo di quest’anno. Dunque, dieci mesi dopo la nomina. Un tempo lunghissimo che lascia presagire che, probabilmente, prima dell’avvento del governo Meloni qualcuno abbia preferito prendere quantomeno tempo prima di autorizzare l’arrivo di Rady all’ambasciata.
La domanda a questo punto sorge spontanea: cos’è successo nel frattempo in questi dieci mesi? Anche qui la cronologia degli eventi è piuttosto curiosa. A novembre è la stessa Giorgia Meloni a incontrare al-Sisi in Egitto e anche in quella circostanza, tra le altre cose, la premier chiede l’impegno del leader egiziano sui casi Regeni e Zaki. Nulla, però, accade. Passano mesi ed ecco che il 21 gennaio 2023 tocca al vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani incontrare al-Sisi.
Anche in questo caso, si legge nei comunicati, il ministro sarebbe stato rassicurato dal premier africano. Invano, però, considerando che Zaki, tanto per dire, è ancora in attesa di una sentenza dopo essere stato ingiustamente detenuto per due anni. Nel frattempo, però, passati i dieci mesi di singolare stallo, il portavoce di al-Sisi ha fatto carriera. Proprio in Italia.