Chi l’avrebbe mai detto: dopo un lungo peregrinare e ampie polemiche si torna a parlare di salario minimo. E il grottesco è che a farlo sono proprio coloro che fino a qualche mese fa avevano più di una riserva su uno degli argomenti più cari ai pentastellati.
La prima proposta sul Salario minimo fu presentata dall’ex ministra Catalfo. Ma sui 9 euro lordi l’ora alzò un muro il renziano Nannicini
Tanto che due giorni fa a provare a ristabilire l’ordine dei fatti è stata la senatrice M5S Mariolina Castellone: “Noi una proposta di salario minimo l’abbiamo messa sul tavolo in tutti i governi di cui abbiamo fatto parte, ma gli alleati si sono messi di traverso, Pd compreso: ricordo che, nella scorsa legislatura, hanno presentato gli stessi emendamenti di Forza Italia. Per noi il punto centrale è che non si deve mai scendere sotto la soglia di 9 euro l’ora, nemmeno nell’ambito della contrattazione collettiva”.
Parole che hanno fatto scoppiare la polemica col capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, Mauro Laus, che ha dichiarato che il Movimento “afferma il falso”. E dunque: “Posso dimostrare con documenti alla mano depositati, discussi e bloccati in commissione Lavoro di cui ero capogruppo nella scorsa legislatura, che se oggi non esiste una legge sulla rappresentanza con il relativo salario minimo la responsabilità è esclusivamente del M5S”.
Da qui la domanda: dov’è la verità? È la storia (recente) a rispondere per tutti. Onorevoli compresi. La prima proposta di legge depositata e avente per oggetto il salario minimo portava la firma dell’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (nella foto). Era il 12 luglio 2018. E la proposta portava il numero 658. In sostanza il disegno prevedeva di fissare il salario minimo, appunto, a 9 euro lordi l’ora. Qual è stata la posizione degli altri partiti? Critiche su critiche. In ogni senso possibile e immaginabile. Già, perché lo stess Laus aveva presentato un ddl ancor prima della Catalfo (maggio 2018) in cui proponeva “un salario minimo di 9 euro orari, al netto di contributi previdenziali e assistenziali, nei settori non regolati da accordi tra datori di lavoro e organizzazioni sindacali”, andando dunque addirittura oltre la proposta della Catalfo.
A marzo 2019, però, il collega Tommaso Nannicini depositava un ddl in cui il salario era talmente minimo da non comparire, ovvero non veniva fissata alcuna soglia minima di retribuzione. Importi e modalità di erogazione del salario minimo venivano affidati, invece, alla “Commissione paritetica per la rappresentanza e la contrattazione collettiva”, istituita presso il Cnel. Una confusione a cui pare gran parte del Pd al tempo non ha fatto caso dato che alla fine il testo preso a riferimento da tutto il partito (Laus compreso) è stato quello di Nannicini.
Non è un caso che Nicola Oddati e Marco Furfaro, oggi vicini a Elly Schelin, affermarono in una nota, e in tempi non sospessi: “Quando nei mesi scorsi abbiamo proposto pubblicamente una campagna sull’introduzione del salario minimo in Italia, non pochi anche nel Pd ci hanno criticati”. Guarda un po’. Da allora sono passati mesi. E il risultato è, come detto, che oggi tutti salgono sul carro del vincitore.
Ed è un bene se questo porta poi all’approvazione di una legge in tal senso. Ma vedremo se effettivamente alle parole seguiranno i fatti. Perché, tra gli altri, anche Carlo Calenda si dice pro salario minimo: “Sono d’accordo con i 5s sul fatto che debba essere intorno a 9 euro. Sono un po’ in disaccordo con loro, diciamo loro lo fanno molto generico, bisogna stare attenti a non danneggiare la contrattazione nazionale, perché quella è una cosa importante. Però non ci sono difficoltà insormontabili”. Quello che le ha poste finora, d’altronde, è stato proprio Calenda.