Voce di tanti programmi di successo, Manuela Doriani si racconta tra radio, musica e libri. E rivela: tutto è iniziato con una sfida, ma poi è continuato per la costante voglia di rimettersi in gioco.
La tua prima radio importante è stata One O One, arrivata grazie a un concorso.
“Si chiamava DJ ON STAGE ed era condotto da Mario Panda che, oltre a essere molto bravo era anche molto empatico. Le sfide erano sempre uno contro uno, ci davano la possibilità di scegliere i dischi da proporre e tre o quattro interventi di un paio di minuti in cui dare il meglio. Il più votato dagli ascoltatori restava, l’altro tornava a casa. Per la manche finale la scelta, invece, era dello staff. All’ultima sfida ricordo che in prima battuta ho vinto io, poi invece (non chiedermi come mai) risultava primo l’altro concorrente, ma alla fine, dopo un po’ di trambusto, tutto è andato come doveva andare”.
Il tuo ricordo degli anni trascorsi a Radio Deejay?
“È stato uno dei periodi più belli della mia vita anche perché l’ha cambiata radicalmente. L’idea di Claudio era trovare delle voci che rappresentassero tutta l’Italia, infatti chiamò contemporaneamente me che sono piemontese, Paoletta per la Campania e Baldini per la Toscana. Radio Deejay ti fa sentire amata come nessun’altra radio al mondo; non è solo questione di popolarità, è proprio un mondo, una meravigliosa famiglia allargata di cui gli ascoltatori fanno parte e, paradossalmente, questo è stato anche uno dei motivi che mi hanno portata a lasciarla. A un certo punto non sapevo più se ero davvero così brava da meritarmi tutto ciò che avevo o se tutti mi amavano solo perché facevo parte di quella magia. Un po’ come si fa col cugino scemo… sì, dai ok è scemo, ma è comunque nostro cugino, non possiamo non volergli bene!”
La tua esperienza a m2o è avvenuta in un periodo in cui imperversava internet e il modo di seguire la radio e la musica da parte degli ascoltatori stava cambiando in modo radicale, come ricordi questo passaggio?
“Secondo me l’unica arma che resta alla radio per vincere su Spotify e sulla valanga di contenuti che ognuno di noi può trovare online è la personalità dei conduttori e il loro modo di comunicare. Nessun programmatore musicale sarà mai più bravo di me a soddisfare i miei gusti. L’unica cosa che può farmi scegliere di restare sintonizzato su una radio anziché switchare su Spotify è una persona simpatica che mi fa sorridere, che mi fa riflettere o che semplicemente mi fa compagnia quando sono sola e a cui col tempo finisco pure per affezionarmi. Io la vedo così e continuo imperterrita a lavorare seguendo questo concetto anche se i fatti mi danno torto”.
Hai insegnato radio: che tipo di avventura è stata?
“Insegnare è stata tra le esperienze più belle che abbia mai fatto. Ho messo a disposizione di questi ragazzi tutto quello che ho imparato in quasi trent’anni di questo mestiere, li ho aiutati a esprimere il loro talento, a trovare gli specifici punti di forza, a superare limiti e a vincere paura e timidezza. In cambio mi hanno restituito l’entusiasmo che forse avevo un po’ perso. Respirare tutto questo amore per un lavoro che per me spesso è routine mi ha dato davvero tanto, non so se gliel’ho mai detto, glielo dico ora che sono in pensione nel mio terrazzo vista piscina a Gran Canaria”.
Hai già due libri all’attivo “Basta mostri!” e “Confessioni di una DJ”, come è Manuela scrittrice?
“Mi sono innamorata della scrittura quando ho aperto il mio primo blog. Era proprio l’inizio, eravamo in pochi e, senza social, farli arrivare alle persone non era facilissimo. Scrivevo di tutto, condividevo gioie, delusioni, storie e riflessioni dalle più banali alle più intime e, non so come, ma la gente (tanta gente) mi trovava, mi leggeva e mi scriveva. Era diventato una sorta di piccolo club, lo amavo alla follia. Il primo libro è figlio di quel blog, ho iniziato a scriverlo quando ho deciso di chiuderlo. I blog stavano diventando una moda e il germe dell’odio, lo stesso con cui oggi dobbiamo convivere sui social, si stava insinuando rapidamente. Mi ha disgustato. Il secondo non era in cantiere, mi ha chiesto di scriverlo la responsabile della casa editrice perché amava i miei post su Facebook. Sono passati quattordici anni ma è successa esattamente la stessa cosa: ho iniziato a scrivere il libro e, per gli stessi motivi, ho smesso di postare. Detto ciò, non mi considero una scrittrice, a pensarci bene non saprei davvero come definirmi”.