di Vittorio Pezzuto
La classe politica, scongiurando la crisi di governo, ha «evitato il vuoto politico e la paralisi», così da garantire l’esigenza di stabilità politica e continuità istituzionale. Di questo va dato «merito a tutte le forze sociali e politiche, che hanno concorso a scongiurare quel rischio». Ora però «occorre andare avanti».
Siete degli ingenui se pensate che a pronunciare queste parole sia stato ieri il presidente del Consiglio Enrico Letta. Non avete ancora capito che la nostra Repubblica è commissariata con mano ferma e voce pacata da Re Giorgio, che ieri è nuovamente intervenuto sulle nostre misere sorti politiche esortando tutti a «mantenere i nervi saldi, portare avanti in tutti i campi lo sforzo indispensabile che non può, non deve essere messo a rischio da particolarismi e irresponsabilità di nessuna specie». Nel suo discorso alla cerimonia di consegna delle onorificenze dell’Ordine al Merito del Lavoro, Giorgio Napolitano ha spiegato di aver legato il suo impegno «al cammino delle riforme all’atto di una non ricercata rielezione a presidente». Un’elegante excusatio non petita che serve a ribadire come l’inquilino del Colle ritenga suo preciso dovere incidere direttamente nella vita politica del Paese per supplire dall’alto alla manifesta debolezza dei partiti. Un compito che Re Giorgio si è da tempo assunto sulle sue spalle, trascinandosi ben oltre il perimetro delle funzioni assegnategli dalla Costituzione. Ma poiché in politica i vuoti vengono comunque riempiti, ecco che nessuno protesta. Tutti (o quasi) lo applaudono convinti.
Figliocci riottosi delle larghe intese patrocinate dal Quirinale, i nostri parlamentari trovano anzi normale che Napolitano detti le priorità d’azione del Paese nel giorno in cui il Governo approva la sua legge di Stabilità. Questa, ha spiegato, «inizierà il suo percorso europeo e nazionale in un confronto aperto ad ogni valutazione anche critica, che ci aspettiamo sia comunque responsabile, cioè sostenibilmente propositiva, consapevole di condizioni oggettive complesse e di vincoli ineludibili». È pur vero che l’Italia «stenta più di altri Paesi a muoversi con passo deciso e spedito verso una nuova fase di sviluppo». La ripresa insomma non riusciamo ad agganciarla, eppure «possiamo e dobbiamo tutti trasmettere, non retoricamente, motivi di fiducia su cui fondare un nuovo spirito di iniziativa, un nuovo slancio produttivo e competitivo». Quali essi siano non è dato sapere, e il perdurare della crisi non aiutano certamente a maturare un qualsivoglia ottimismo. Eppure a suo dire «non dobbiamo trascurare nessuno dei passi avanti compiuti, nessuno dei segnali positivi registratisi. Possiamo e dobbiamo tutti trasmettere, non retoricamente, motivi di fiducia su cui fondare un nuovo spirito di iniziativa, un nuovo slancio produttivo e competitivo».
Napolitano non ha infine perso l’occasione di ribadire ancora una volta la sua opposizione al Porcellum, incalzando il Parlamento ad «andare avanti con le riforme istituzionali come quella elettorale e quella della seconda parte della Costituzione della quale si è già delineato un percorso con l’apporto di una Commissione altamente qualificata».
Critica solitaria
Forse siamo troppo puntigliosi, forse non riusciamo ad adattarci ai tempi nuovi e strani della Costituzione materiale e quindi reagiamo con fastidio e un pizzico di scandalo a cotanto interventismo quirinalizio. È però confortante che nel generale conformismo politico si sia levata almeno la voce del senatore Sandro Bondi. «Le riflessioni e le raccomandazioni del capo dello Stato – ha osato dire il coordinatore del Pdl – sono il metronomo della politica italiana. Francamente comincio ad avere seri dubbi sull’utilità di questo ruolo esercitato da Napolitano, nella convinzione di guidare dall’alto l’Italia verso l’uscita dalla crisi. Le conseguenze di questo metodo, infatti, non sono affatto incoraggianti». A parte un paio di scandalizzati deputati di Scelta Civica, non se l’è filato nessuno.
Forse perché ormai, per usare le parole del democratico Francesco Boccia, «Napolitano vince sempre: dà un’indicazione al Paese, poi tocca al Parlamento seguirla». Avanti, marsh!