L’emergenza suicidi nelle Università italiane non nasce oggi e nemmeno ieri. Sono anni, purtroppo, che i numeri di questo tremendo capitolo continuano ad aggiornarsi e aumentare. Tanti sono i giovani che hanno deciso di mettere fine alla propria vita per un percorso universitario che si complica.
Emergenza suicidi nelle Università: non c’è più tempo
Che sia chiaro, i giovani non sono e non possono essere solo numeri, come quando da giovanissimi entrano ed escono dai percorsi universitari. Sono vite fragili con famiglie che ignorano (spesso inconsapevoli) le loro sofferenze e Università che vogliono ignorare. Sono le storie spezzate via per sempre di Antonio, 25 anni di Torre del Greco (provincia di Napoli) e di molti altri di cui purtroppo non si conoscono nemmeno i nomi. L’ultima vittima giovanissima a far riaccendere i riflettori è stata una studentessa di origini straniere, ritrovata senza vita e senza più speranza nei bagni dell’Università Iulm di Milano. 19 anni e un biglietto in cui chiedeva scusa per i suoi fallimenti. Come se a 19 anni si è già dei falliti. Se questi sono i segnali e i numeri (quattro studenti suicidati tra il 2021 e il 2022, più una già nel 2023), è necessario parlarne non come semplici casi di cronaca. È giusto che gli Atenei si organizzano per bypassare la privacy e farsi carico delle fragilità dei tanti studenti, non solo delle loro rette pagate, spesso con sacrifici propri o delle famiglie. L’Università deve essere un luogo di vita e giusta educazione ma non può continuare ad essere un luogo di morte e competizione spietata.
Emma Ruzzon, studentessa dell’Università di Padova, ha affrontato il tema all’inaugurazione dell’801/o anno accademico, davanti alla rettrice Daniela Mapelli e alla ministra Anna Maria Bernini: “Siamo stanchi di piangere i nostri coetanei e vogliamo che tutte le forze politiche presenti si mettano a disposizione per capire, insieme a noi, come attivarsi per rispondere a questa emergenza, ma serve il coraggio di mettere in discussione l’intero sistema merito-centrico e competitivo“.
“La corona d’alloro – ha aggiunto – non deve significare l’eccellenza, la competizione sfrenata. Deve essere simbolo del completamento di un percorso che è personale, di liberazione attraverso il sapere. Abbiamo scelto di mostrarla qui con un fiocco verde, quello del benessere psicologico, per tutte quelle persone che non potranno indossarla, per tutte le persone che sono state o stanno male all’idea di raggiungere questa corona. Stare male non deve essere normale”.
I giovani sono lasciati soli e senza speranza
Il Censis analizza la qualità del sistema universitario italiano in base a strutture disponibili, servizi erogati, borse di studio, livello di internazionalizzazione, comunicazione e occupabilità. È tempo che siano prese sul serio queste indagini per il bene dei ragazzi e non per l’onore di professori emeriti o vecchie “strutture” che hanno l’arroganza di non considerare vite ma numeri i tanti giovani che spesso vagano come anime spaesate in un sistema che fallisce ogni volta che una vita si spezza a causa sua. La correlazione e la corresponsabilità dell’Università sono chiare, le parole nei pochi biglietti lasciano indizi che in parte fanno riferimento a un sistema universitario che deve cambiare. L’altro nemico ben visibile da combattere è la spietata competizione che la società favorisce tra giovani universitari. Un peso che non sempre si ha la forza di portare avanti. I tanti gesti estremi non sono il risultato di vigliaccheria o istintività ma di tanto coraggio che queste giovani vite coltivano nell’oscurità e nella solitudine. Questi gesti non sono più isolati e non possono più essere messi da parte, vanno accolti come segni di una vita che ha solo bisogno di cura ed attenzione.