Molti ricordano la drammatica storia di Saman Abbas che, riassunta in date, è questa: scomparsa da Novellara nella notte tra il 30 aprile e l’1 maggio 2021; 10 febbraio 2023 a processo i familiari arrestati all’estero: lo zio Danish Hasnain e i due cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq. Nel novembre 2022 arrestato in Pakistan il padre Shabbar Abbas, mentre la madre Nazia Shaheen è latitante. L’uomo, un confessò il delitto in una telefonata. Il 19 novembre 2022 sono trovati dei resti umani a Novellara e il 4 gennaio 2023 arriva la conferma: è il corpo di Saman.
La drammatica storia di Saman Abbas acquista un significato del tutto particolare nel nostro panorama culturale
La sua morte, a parte l’oggettiva tragicità della vicenda e la macabra ossessione dei media nell’offrire ricostruzioni e processi che tengono con il fiato sospeso il telespettatore, acquista un significato del tutto particolare nel nostro panorama culturale perché ci costringe ad una riflessione: questo omicidio è annoverabile tra i tanti femminicidi che si consumano nel nostro Paese (per mano spesso di italianissimi uomini), o la morte della giovane pakistana ha una sua specificità legata al mondo di provenienza e che elimina ogni possibilità di dialogo con gli interpreti radicali del fondamentalismo islamico
Quante le Saman che possiamo salvare? Musulmani di seconda e terza generazione vivono all’occidentale andando a scuola con i nostri figli, condividendone la lingua, il tempo, le abitudini e vivendo all’occidentale sognano – senza costrizione nell’indossare il velo, se non in specifiche ricorrenze – di essere integrate senza discriminazioni nel nostro tessuto sociale. Quelle discriminazioni che esistono sono figlie di chi – strumentalmente e non – fatica a comprendere l’esistenza di due Islam.
È delirante negare che esista una violenza rivolta alle donne “legittimata” da una certa interpretazione delle sure del Corano che va riconosciuta, combattuta e perseguita perché la violenza non ha mai ragione di esistere e non possiamo nasconderci dietro il rispetto di una cultura e di una religione diverse dalla nostra quando la libertà e i diritti femminili vengono calpestati.
In questi giorni è tornata a casa anche la diciannovenne pakistana scomparsa da Gallera Veneta ben otto mesi fa e che aveva indotto molti giornalisti a ritenere potesse trattarsi di un nuovo caso Abbas: un matrimonio combinato e la distruzione del sogno di una vita libera che avrebbero indotto un’altra giovane donna a fuggire via dalla famiglia di origine. La ragazza oggi dichiara di essersi allontanata per “ragioni private” e che con la sua famiglia non ci sia alcun problema, ma a molti resta difficile credere a queste parole perché in molti casi il ricatto, le minacce, la paura costringono a offrire una versione diversa dalla realtà.
Quella realtà che ci racconta Giorgio Pagano cercando di proteggere sua moglie Boutania – donna di origine marocchina – dalle violenze provenienti dalla famiglia d’origine che non accetta la sua scelta di vita e d’amore. Doveva essere un matrimonio finalizzato al conseguimento del permesso di soggiorno, ma – a dispetto da quanto auspicato dalla di lei famiglia – si è rivelata per Boutania la possibilità di vivere secondo i principi democratici nella città di Modena, accanto all’uomo che ama. Eppure, è costretta a vivere nel terrore che la sua famiglia – regolarmente denunciata – possa farle del male.
La nostra Italia, che pure fino al 1981 prevedeva il delitto d’onore, perché non riesce a “contaminare” positivamente con i propri valori queste famiglie e queste realtà che, ribadiamo, non coinvolgono il mondo musulmano nella sua interezza? Quali le nostre responsabilità? La verità è che siamo scissi tra la paura di essere “colonizzati” da una cultura profondamente diversa dalla nostra al punto tale da non riuscire a cogliere le varie identità che porta con se, e il timore reverenziale di non essere abbastanza rispettosi della diversità e dell’altrui identità. Il rischio è che entrambi gli approcci, apparentemente contrari, siano in realtà due volti di quella piaga sociale che prende il nome di indifferenza.