Il primo punto che ogni volta tocca ribadire è che la gente si sposta, da sempre, e si sposterà per sempre. Nel 2021 il numero di migranti internazionali è stimato intorno ai 281 milioni di persone. Parliamo del 3,6% della popolazione mondiale. Due terzi di loro si spostano per motivi di lavoro. Cento milioni di loro sono migranti forzati, persone che non “scelgono” di partire ma che “devono” partire per occuparsi della propria sopravvivenza.
Migrantes accusa il Governo sulla gestione dei migranti: “Solidali con gli ucraini e discriminanti con altri”
La fondazione Migrantes (che questi presunti cattolicissimi membri del governo dovrebbero leggere tutti i giorni, esse un autorevole e importante organismo pastorale della Cei) l’aveva scritto già a dicembre e ieri l’ha ripetuto presentando a Parma il report sul Diritto d’asilo in Italia nel 2022 (Un’Unione europea e un’Italia “sdoppiate”), nel quale le curatrici Mariacristina Molfetta e Chiara Marchetti denunciano fin dall’introduzione: “Solidali con gli ucraini e discriminanti e in violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali con altri. Per qualcuno le frontiere sono aperte, mentre per altri non lo sono nemmeno i porti dopo un naufragio. A essere a rischio è lo stesso diritto d’asilo e persino lo stato di salute delle nostre democrazie”. 2022, l’anno in cui la guerra d’Ucraina nel giro di poche settimane ha disperso nel cuore d’Europa rifugiati e sfollati a milioni, come non si vedevano dai tempi della Seconda guerra mondiale.
L’anno già difficile in cui l’Europa ha saputo accogliere milioni di profughi senza perdere un decimale in benessere e “sicurezza” (oltre 4,4 milioni le persone registrate per la protezione temporanea solo nell’Ue fino all’inizio di ottobre). Ma anche l’anno in cui la stessa Unione e i suoi Paesi membri hanno fatto di tutto (hanno continuato a fare di tutto) per tener fuori dai propri confini, direttamente o per procura, ora decine di migliaia, ora migliaia, ora poche centinaia o decine di migranti e rifugiati altrettanto bisognosi di protezione (se non ancora più fragili): è avvenuto dalla Grecia a tutti i Balcani, dalla Libia alla frontiera con la Bielorussia, dalle enclave spagnole sulla costa africana alle acque mortifere del Mediterraneo e dell’Atlantico sulla rotta delle Canarie fino, ultima “novità” dell’anno, ai moli dei porti italiani.
Cioè quelli di un Paese i cui governi di ogni colore ripetono da anni che l’«Italia non può fare tutto da sola», ignorando le statistiche sui rifugiati presenti nei Paesi europei che l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, aggiorna ogni semestre. Alla fine dello scorso giugno, ormai nel pieno della crisi umanitaria ucraina, vivevano in Italia poco meno di 296 mila “rifugiati” (cioè rifugiati in senso stretto e persone con protezione complementare o temporanea, e quindi profughi ucraini inclusi: la cifra equivale a cinque persone ogni mille abitanti). Però alla stessa data i rifugiati in Francia erano 613 mila e in Germania addirittura 2.235.000.
“Viene così da chiedersi – scrivono le curatrici – chi dovrebbe prendersi i migranti da chi, per restare al livello dell’attuale “dibattito” nell’Ue. (Piuttosto, occorrerebbe discutere del fatto che le persone che sbarcano sulle nostre coste, a differenza di molte altre che chiedono protezione nell’Europa continentale, devono essere prima salvate da un mare pericoloso con missioni di soccorso degne di questo nome e dovrebbe essere loro risparmiato l’inferno di Libia: qui sì, è vero che l’Italia non può farcela da sola).
Leggendo i numeri ci si rende conto che il polverone sollevato dal Governo non abbia nulla a che vedere con la realtà
Con i numeri in mano ci si rende conto di quanto il polverone sollevato (com’era prevedibile) da Piantedosi e dal governo non abbia nulla a che vedere con la realtà. I migranti continuano a essere solo un grimaldello di comunicazione. Nel XXXI rapporto di Caritas e Migrantes sull’immigrazione si legge: “prima con la riconquista talebana del potere in Afghanistan e in seguito con la guerra in Ucraina, l’accoglienza è tornata ad essere una tematica di rilievo nel racconto mediatico della mobilità. Si tratta di un ambito che nella narrazione del fenomeno immigratorio in Italia ha sperimentato fasi anche molto diverse fra loro, in concomitanza con momenti differenti della storia politica e sociale del Paese (2013-2017, 2018-2021, 2022)”.
Come sottolinea il rapporto “il rinnovato spirito di accoglienza non rappresenta, però, una novità, bensì la logica conseguenza di diversi fattori che da anni caratterizzano la narrazione della mobilità, fra i quali la perdurante visione delle migrazioni come fenomeno esclusivamente emergenziale. In Italia molta parte dello storytelling vive ormai da anni di “emergenze”, con un netto incremento nel tempo della pandemia.
Un cambiamento è tanto più necessario ed urgente se si considera che la maggior parte delle realtà che oggi si trovano ad operare per il dialogo interculturale privilegia l’uso dei media, della cultura e delle arti performative non per una “gestione dell’emergenza” quanto piuttosto come supporti per documentare e valorizzare le storie di vita di cui sono portatrici le persone migranti (41%) e per facilitare l’inclusione sociale a medio termine (31%) e nuove forme di convivenza tra cittadini italiani e non (20%)”.
Dopo la bocciatura del Consiglio Ue, arrivano i rilievi sul decreto Ong dell’Associazione per gli studi giuridici dell’immigrazione
Inventarsi norme illegittime e che non risolvono il problema è solo propaganda. Mentre il Consiglio Ue mette nel mirino il decreto Ong del governo italiano, altri rilievi contro il provvedimento del ministro Piantedosi arrivano da Asgi (l’Associazione per gli studi giuridici dell’immigrazione) sottolinea come “il decreto legge 1/2023 non può essere convertito, nella consapevolezza che il Parlamento deve avere che esso viola la Costituzione”.
Le soluzione, se si avesse voglia di applicarle, sono sempre le stesse: introdurre canali regolari di ingresso (visti per ricerca lavoro, per lavoro, per asilo, ecc.) e predisporre, unitamente all’Unione europea, un piano di evacuazione delle persone migranti dalla Libia, ove è acclarata la sistematica violazione di diritti umani con violenze, torture, trattamenti inumani e degradanti, stupri ed estorsioni.