La crisi idrica non fa altro che aggravarsi in Italia. Le esigue piogge che hanno contraddistinto il mese di gennaio non sono riuscite a invertire un trend che appare sempre più catastrofico e preoccupante.
La crisi idrica dilaga in Italia. Il Po e i grandi laghi sono a secco
Il Po si sta prosciugando. I grandi laghi alpini sono semivuoti. Non si tratta di immagini da film pre o post apocalittici ma di una realtà connotata da un deficit idrico che sta devastando il Nord Italia. a fronte delle precipitazioni che hanno accompagnato il primo esce dell’anno, il 2023 è cominciato segnando record negativi per il Po e i laghi settentrionali che vedono la loro portata dimezzata rispetto ai dati raccolti nel 2022. In particolare, quello che un tempo era noto come il “Grande Fiume” oggi è “l’immagine di una crisi idrologica che pare senza fine”. È quanto si legge nell’ultimo report di Anbi, l’associazione che rappresenta consorzi di bonifica e irrigazione.
Per quanto riguarda la portata del Po, rispetto al 2022, è stato individuato un deficit che a Torino è pari a circa il 50% mentre in altri punti del letto d’acqua si raggiunge una percentuale che supera l’80%. A Piacenza, la portata è scesa sotto il minino storico mensile (332,38 metri cubi al secondo).
Come il Po, anche i grandi laghi del Nord – la più grande riserva idrica della Penisola – sono in sofferenza. Le percentuali di riempimento sono sostanzialmente “inferiori a quelle del Gennaio 2022”, ha denunciato Anbi. La situazione più critica è stata riscontrata in Lombardia dove i cinque laghi prealpini più importanti d’Italia sono per tre quarti vuoti. Secondo i dati Arba Lombardia citati da Legambiente, i bacini possono consentire lo stoccaggio di 1,3 miliardi di metri cubi di acqua ma, data l’esiguità degli immissari, al momento contengono solo circa 350 milioni di metri cubi di acqua (200 milioni in meno rispetto al 2022).
Nell’ambito della crisi idrica in Italia, la situazione più preoccupante riguarda il Lago di Garda che contribuì a impedire al Po di andare in asciutta lo scorso anno. Nei prossimi mesi, tuttavia, il bacino potrebbe non essere in grado di svolgere lo stesso ruolo.
Si rischia un terzo del Made in Italy. L’allarme di Anbi e Coldiretti
A scarseggiare non è solo la pioggia ma anche la neve. Per i modelli Arpa, sulle Alpi manca il 40% del ghiaccio che dovrebbe esserci in questa stagione. Situazione che provocherà una mancanza di disponibilità di acqua pari a 700 milioni di metri cubi.
“La situazione critica del fiume Po si trascina da Dicembre 2020 e condiziona l’economia agricola, nonché l’agroalimentare della principale food valley italiana e riconosciuta eccellenza mondiale”, ha sottolineato Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi. Nella Pianura Padana, infatti, vengono prodotti alcuni dei prodotti più importanti del Made in Italia come il grano duro, la pasta, la salsa al pomodoro, formaggi come il Grana Padano e il Parmigiano reggiano, salumi come il prosciutto di Parma o il Culatello di Zibello, frutta, verdura.
Oltre ad Anbi, a denunciare la crisi idrica “senza fine” c’è anche Coldiretti. “Con il Po a secco rischia un terzo del Made in Italy a tavola”, ha dichiarato Coldiretti. Per questo motivo, è stato riproposto il “Piano Laghetti”, lanciato da Coldiretti e Anbi la scorsa estate. L’iniziativa prevede la realizzazione, entro il 2030, di diecimila invasi medio piccoli in zone collinari e di pianura per aumentare di oltre il 60% l’attuale capacità totale dei 114 serbatoi esistenti. I primi 223 progetti in tal senso sono esecutivi e quindi cantierabili con effetto immediato, producendo un’occupazioni corrispondente a 16.300 unità e un incremento di circa 435 mila ettari delle superfici irrigabili in Italia. Quaranta di questi progetti verranno realizzati in Emilia-Romagna.
La strategia, tuttavia, non è condivisa da tutti. Legambiente, ad esempio, si è detta “perplessa sulle soluzioni ingegneristiche che si prospettano e che dovrebbero attingere dalle risorse economiche del PNRR”. E ha osservato che la realizzazione di una “miriade di laghetti per trattenere le acque piovane da redistribuire nel momento del bisogno” non è funzionale.
Sulla questione è intervenuto il coordinatore scientifico della sezione lombarda dell’associazione ambientalista, Damiano Di Simine. “Per quanti laghetti si possano fare in Lombardia, si tratterebbe di volumi irrisori in rapporto ai miliardi di metri cubi degli invasi già presenti In Lombardia non mancano i volumi di invaso, ma l’acqua con cui riempirli”, ha spiegato. Per Legambiente, però, ci sarebbe un’alternativa ossia “avere il coraggio di affrontare un cambiamento profondo dell’agricoltura, non solo modificando le tecniche irrigue, ma soprattutto gli ordinamenti colturali. Non si può pensare di affrontare il cambiamento climatico senza cambiare le colture, anche se ciò significherà ridimensionare le produzioni che afferiscono alla filiera zootecnica”.