Prima le richieste di carri armati, poi di aerei da combattimento e ora pure di sottomarini. Ma di chiedere una mano per far cessare le ostilità non se ne parla proprio. Sembra proprio che Volodymyr Zelensky e soci ci abbiano preso gusto e di giorno in giorno non fanno che alzare il tiro chiedendo sempre più aiuti militari, noncuranti degli effetti che questi potrebbero scatenare, quasi nella speranza di coinvolgere ancor di più la Nato nel conflitto.
Sembra proprio che Zelensky e soci ci abbiano preso gusto e di giorno in giorno non fanno che alzare il tiro
L’ultima richiesta, evidentemente una provocazione, è stata la richiesta alla Germania di inviare sommergibili da usare per “cacciare la flotta russa dal Mar Nero”. Che si tratti di una mera provocazione lo si capisce del fatto che l’invito è stato rivolto direttamente al governo di Olaf Sholz che da tempo è riluttante – anche per via di rapporti economici piuttosto rilevanti con Mosca – davanti all’escalation militare in corso e che proprio per questo ha rimandato il più possibile il via libera all’invio dei suoi famigerati tank Leopard 2.
Eppure questo insistere nel pretendere aiuti militari appare proprio un paradosso perché complice l’inverno e il conseguente stallo sul campo di battaglia, questo poteva essere il momento propizio per tentare qualche approccio diplomatico e cercare di chiudere il conflitto. Peccato che quest’idea non scalfisca minimamente i governi occidentali e neanche quello ucraino che sembrano giocare a chi provoca di più la Russia.
Quel che è certo è che il Cremlino, dopo mesi di incertezze e sconfitte, in questi ultimi giorni è tornato ad avanzare. In tal senso non può essere un caso che la ripresa dei bombardamenti e dei massacri sia avvenuta proprio a seguito della promessa della Germania e degli Usa di inviare i Leopard 2 e gli Abrams all’Ucraina che, salvo ritardi, non arriveranno prima dell’inizio della primavera. Ieri le città più colpite sono state Kharkiv, dove si è registrato un morto, e Kiev dove sono stati uccisi 5 civili.
L’Ucraina pretende l’esclusione degli atleti russi dalle Olimpiadi
In questo delirio di critiche a destra e manca, la presidenza dell’Ucraina ieri ha raggiunto nuove vette. Secondo il governo di Kiev, infatti, il Comitato olimpico internazionale è un “promotore della guerra” nonché “dell’omicidio e della distruzione” del Paese. Questo perché “il Cio guarda con piacere la Russia che distrugge l’Ucraina e poi offre alla Russia una piattaforma per promuovere il genocidio e incoraggia le sue ulteriori uccisioni. Ovviamente i soldi russi che comprano l’ipocrisia olimpica non hanno l’odore del sangue ucraino” è quanto scrive su Twitter il consigliere presidenziale ucraino, Mikhaylo Podolyak.
Si tratta di una pesante accusa che fa seguito alla dichiarazione del Cio che ha annunciato di stare valutando le modalità di competizione degli atleti russi alle Olimpiadi di Parigi del 2024. Insomma Zelensky & Co sembrano voler fare il bello e cattivo tempo, arrivando quasi a pretendere di gestire l’organizzazione dei Giochi, tanto che hanno fatto sapere che l’Ucraina valuterà un boicottaggio dell’edizione francese se il Cio dovesse decidere di ammettere gli atleti russi e bielorussi.
Sembra di essere tornati all’epoca della Guerra fredda quando il mondo era contrapposto in blocchi che si guardavano con diffidenza, se non addirittura odio. Così accade che nel giorno in cui Jens Stoltenberg, il leader della Nato, vola a Seul per incontrare il governo della Corea del Sud e chiedere di rafforzare l’aiuto militare all’Ucraina, da Pechino arrivano pesanti bordate agli Stati Uniti e a tutto l’Occidente. In particolare dal governo di Xi Jinping che afferma che Joe Biden & Co sono coloro “che hanno innescato la crisi ucraina” e che continuando a dare armi a profusione a Kiev non fanno altro che “prolungare e intensificare il conflitto”.
Secondo Pechino è tempo di superare “la mentalità da Guerra Fredda” e di far cessare le politiche aggressive ed espansioniste della Nato che sulla carta si definisce un’alleanza difensiva mentre nei fatti continua a invadere “aree e campi di difesa tradizionali” che non le competono. Per questo la Cina ribadisce di essere impegnata per la soluzione politica e la promozione dei colloqui di pace nella crisi ucraina e “si oppone a parole e azioni che gettano benzina sul fuoco e intensificano i conflitti”.
Putin minacciò un attacco missilistico durante una telefonata con l’ex premier inglese Johnson
Tra chi in queste ore sta gettando benzina sul fuoco, in modo davvero inatteso, spunta anche l’ex primo ministro inglese Boris Johnson. Secondo l’ex inquilino di Downing street Vladimir Putin minacciò un attacco missilistico durante una telefonata nel periodo precedente all’invasione dell’Ucraina. Testualmente, come affermato alla Bbc, ha raccontato il dialogo surreale con lo zar che avrebbe detto: “Boris, non voglio farti del male ma, con un missile, ci vorrebbe solo un minuto o qualcosa del genere”. Parole che hanno mandato su tutte le furie il Cremlino con il portavoce, Dmitry Peskov, secondo cui Johnson ha detto “una bugia”.
Insomma malgrado i potenti stiano facendo a gara nel mostrare i muscoli e lanciarsi provocazioni reciproche, qualcosa nell’opinione pubblica russa sembra smuoversi. Se prima si poteva parlare di un fronte granitico a sostegno delle politiche dello zar, ora le cose sono profondamente cambiate e il dissenso interno inizia a farsi sentire.
Dai presentatori televisivi sempre più scettici e critici verso quella che viene ancora chiamata “operazione speciale”, fino alla gente comune che in almeno 50 città della Russia sta dando luogo a una protesta silente ma dal forte valore evocativo con i cittadini che stanno portando candele, fiori, giocattoli e foto di Dnipro – la città che sta subendo danni enormi – sotto i monumenti di poeti ucraini o che hanno qualche relazione con l’Ucraina.
Un fenomeno che non è passato inosservato alla polizia russa che, secondo quanto scrive il Moscow Times, interviene più volte al giorno per rimuovere questi memoriali improvvisati salvo poi scoprire che poco dopo gli stessi vengono immediatamente ricostruiti. Insomma non è ancora una protesta plateale ma sicuramente è il sintomo che l’aria da Mosca a San Pietroburgo inizia a farsi pesante.