Quella odierna “è una giornata importante, in cui la Repubblica salda un debito nei confronti dei suoi martiri”. Inizia con queste parole cariche di sentimento la conferenza stampa del Procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, per fare il punto sul blitz che, dopo trent’anni di ricerche, ha messo fine alla latitanza del super boss di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro.
“Siamo particolarmente orgogliosi del lavoro che si è concluso stamattina perché abbiamo catturato l’ultimo stragista del periodo 92-93” e così “abbiamo saldato un debito con le vittime” spiega il vertice della procura palermitana visibilmente emozionato per un risultato che in molti non credevano neanche possibile.
L’accelerata nelle indagini
Eppure, come spiegato dal magistrato, l’indagine ha accelerato improvvisamente nelle ultime due settimane quando “l’attività investigativa di questi anni e gli arresti hanno ristretto la rete di protezione di Messina Denaro” permettendo di scremare i presunti fiancheggiatori per poter così catturare definitivamente il super boss che, per tutta questa sterminata latitanza, è sempre stato “un capo operativo con ruolo di garanzia importante per la gestione degli affari” di Cosa nostra.
Latitanza che, chiarisce lo stesso De Lucia, si “è svolta in varie zone d’Italia, con l’ultima parte in Sicilia” dove l’uomo, per il quale è già stato proposto il regime carcerario del 41bis, si era ritirato per curare un brutto male e forse per pianificare chi avrebbe dovuto prendere le redini dell’organizzazione in caso fosse rimasto fuori dai giochi.
La stoccata al ministro Nordio
Una conferenza stampa in cui non è mancata una stoccata al governo perché secondo il procuratore capo di Palermo “senza intercettazioni non si possono fare le indagini di mafia” e proprio questa cattura ne è la prova perché queste “sono state letteralmente fondamentali”.
Il riferimento, come facilmente intuibile, è alle dichiarazioni del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che nelle scorse settimane ha spiegato la sua teoria secondo cui le captazioni in Italia sono troppe, costano fiumi di denaro e spesso non sono neanche determinanti. Tutte ragioni per le quali il guardasigilli, puntualmente scatenando polemiche da parte dei suoi ex colleghi magistrati, va ripetendo da settimane che intende limitare questo strumento.
Messina Denaro senza via di scampo
Insomma ci sono voluti trent’anni per risolvere il rompicapo di dove si nascondesse l’ex delfino di Totò Riina. E come spesso accade alla fine si è scoperto che spesso e volentieri ha trovato riparo proprio nei suoi feudi. Al momento della cattura, avvenuta nella clinica Maddalena di Palermo dove si recava regolarmente da almeno un anno, il super boss “indossava un orologio molto particolare, con un valore di 30-35mila euro” hanno spiegato gli inquirenti.
Per celare la propria identità si era registrato con il nome di Andrea Bonafede. Identità appartenente a un geometra 59enne del trapanese che è stato già ascoltato dai carabinieri decisi a carpire qualche informazione ma che, secondo quanto si apprende, non avrebbe risposto alle loro domande. L’unica certezza è che Messina Denaro ieri era alla reception della clinica palermitana – che sarebbe stata all’oscuro dell’identità del proprio paziente – perché doveva sottoporsi ad alcuni accertamenti in day hospital.
Ma mentre stava espletando le pratiche burocratiche, sono intervenuti centinaia di agenti a volto coperto che lo hanno accerchiato. Con le spalle al muro, il tutto mentre in contemporanea veniva arrestato anche l’amico incensurato Giovanni Luppino che lo avrebbe accompagnato in clinica, il super boss non ha neanche provato a fuggire ma si è limitato a dire ai carabinieri: “Sono Messina Denaro”.
I segreti di Messina Denaro
Un arresto che inevitabilmente finirà per scrivere una pagina importante della storia d’Italia visto che il suo nome è legato ad alcuni degli avvenimenti più oscuri del nostro Paese. Dopo essersi distinto prima come delfino di Riina e dopo di Bernardo Provenzano, al momento che entrambi i boss corleonesi sono stati messi fuori gioco, Messina Denaro sarebbe diventato il referente di Cosa nostra.
Una carriera criminale che gli è costata numerose condanne, inclusa una all’ergastolo per decine di omicidi tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo reo di essere figlio di un pentito da punire, e sarebbe coinvolto sia nelle stragi in cui vennero uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che negli attentati degli anni ‘90 a Milano, Firenze e Roma.