Una clamorosa e per certi versi inaspettata retromarcia. Da una parte il ministro dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti; dall’altra il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Il risultato, al di là di come la si possa vedere, è però oggettivamente uno e uno soltanto: l’Italia è rimasta l’unico Paese dell’area euro a non aver reso operativo l’accordo firmato il 27 gennaio 2021.
Altra figuraccia dell’Esecutivo Meloni in Europa. Difficile rinviare la ratifica del il Meccanismo europeo di stabilità (Mes)
Riavvolgiamo però il nastro e torniamo indietro di circa un mese quando il titolare del dicastero dell’Economia Giorgetti, a margine dell’Eurogruppo, aveva spiegato di essere “sulle posizioni del precedente governo di cui facevo parte”, cioè di avere intenzione di aspettare le decisioni della Corte costituzionale tedesca riguardo al ricorso presentato da alcuni deputati Fdp.
Una linea evidentemente attendista sottoscritta poi in un atto di indirizzo della maggioranza approvato dalla Camera. Cinque giorni fa, però, la Consulta tedesca ha spianato la strada alla ratifica.
E Giorgetti? Semplicemente ha cambiato idea (un’altra volta): durante il question time di ieri alla Camera ha detto che l’intenzione è quella di frenare ancora. “Siamo coscienti dell’impegno assunto dall’Italia e che allo stato tutti gli altri Aderenti abbiano proceduto alla ratifica”, è il cuore della sua risposta all’interrogazione di Luigi Marattin (Iv), “ma alla luce dei dati fattuali prima ricordati (le condizionalità da rispettare per ottenere l’assistenza finanziaria del fondo, ndr) emerge con chiarezza la necessità che la decisione di procedere o meno alla ratifica del Trattato sia preceduta da un adeguato e ampio dibattito in Parlamento“.
Il punto, però, è proprio questo: il dibattito che in realtà c’è già stato, con tanto di voto a maggioranza in entrambe le Camere esattamente due anni fa, dopo oltre un anno di discussioni. Poco c’entra il fatto che, come ricordato da Giorgetti, “come da più parti evidenziato” il Mes “appare una istituzione in crisi e per il momento in cerca di una vocazione. In parte per colpa sua, in parte no, è un’istituzione impopolare. Nessuno fra i Paesi europei ha voluto chiedere la sua linea di credito sanitaria”.
Quindi? “L’impianto attuale del Trattato istitutivo del Mes appare non tenere conto del diverso contesto di riferimento e appare opportuno che, a monte, siano valutate modifiche relative al contenuto del Meccanismo. A titolo esemplificativo, il Mes da strumento per la protezione dalle crisi del debito sovrano e delle crisi bancarie, deve trasformarsi, a nostro avviso, in un volano per il finanziamento degli investimenti e per il sostegno per affrontare sfide come quella del caro energia e della crisi internazionale connessa alle vicende ucraine, rivedendo le condizionalità attualmente previste ovvero le modalità di utilizzo delle risorse”.
Queste posizioni non sono diverse da quelle del governo Conte che era in carica quando si discusse la riforma. Ma quasi due anni fa, dopo un lungo negoziato in cui l’ex ministro e predecessore all’Economia di Giorgetti, Roberto Gualtieri, rivendicò di aver ottenuto importanti risultati, l’accordo è stato firmato dai 19 Paesi aderenti all’euro e sembra improbabile il ripensamento che il governo auspica. A maggior ragione se si considera l’ampia discussione parlamentare che sul tema già c’è stata.
Si vedrà se davvero, come crede Giorgetti, “un proficuo confronto potrà essere instaurato anche con il nuovo direttore generale del Mes Pierre Gramegna, nominato recentemente anche grazie alla all’attivo contributo del nostro Paese”. Un atteggiamento, questo, che tuttavia lascia spiazzati. Specie se si considerano i dietrofront continui.