È proprio il caso di dirlo: ecco il cattivo esempio della politica. Il barometro dell’odio di Amnesty International Italia ha infatti evidenziato che nelle scorse elezioni nove contenuti su 100 tra quelli pubblicati online dai politici sono risultati offensivi, discriminatori e, in alcuni casi, incitavano pure all’odio.
Il barometro dell’odio di Amnesty evidenzia che in campagna elettorale 9 post su 100 dei candidati erano offensivi e discriminatori
In cinque settimane sono stati raccolti dalle pagine Facebook e dagli account Twitter di 85 politici candidati alle elezioni nazionali circa 29mila contenuti. Se nel nove per cento dei post e tweet i politici hanno fatto uso del linguaggio d’odio, restringendo la lente ai casi di vero e proprio hate speech un contenuto su 100 incita alla discriminazione di una persona o di un gruppo di persone sulla base di caratteristiche personali o ne chiede la limitazione dei diritti.
È il linguaggio d’odio il più “premiato” dagli utenti in termini di like, condivisioni e commenti. Di tutti i contenuti offensivi e discriminatori osservati, quattro su 10 sono stati attacchi rivolti dai politici ad altri politici, a scapito dei diritti umani, trattati solo in un quarto dei contenuti. Ma quali sono i temi dove i politici italiani hanno dato il meglio di loro stessi? In primis c’è l’immigrazione (53 per cento), seguono le minoranze religiose (36 per cento), il mondo della solidarietà (35 per cento), Lgbtqia+ (31 per cento) e giustizia di genere (26 per cento).
Emerge anche un’altra forma di intolleranza e discriminazione, quella verso le persone in stato di svantaggio socio-economico. Partiti e politici hanno seguito strategie di comunicazione online diverse. La coalizione del centro destra ha pubblicato oltre il doppio dei contenuti offensivi e discriminatori rispetto alla coalizione del centro sinistra: il nove per cento rispetto al quattro per cento. Azione Italia Viva si è collocata al centro con il sei per cento, mentre il Movimento 5 Stelle ha avuto un tre per cento di contenuti di questa tipologia.
Se guardiamo poi i leader di ogni partito notiamo che in cima al podio per contenuti che incitano all’odio c’è il leader del Carroccio, Matteo Salvini, con il 18 per cento di contenuti problematici, segue Giorgia Meloni, attuale premier e leader di Fratelli d’Italia. Poco più in basso si posiziona Carlo Calenda del Terzo Polo con il nove per cento. Staccato dalla coalizione di centro destra di oltre 10 punti percentuali, a solo il 5 per cento, si posiziona Silvio Berlusconi di Forza Italia.
Mentre Nicola Fratoianni, Giuseppe Conte e Enrico Letta si attestano rispettivamente al 4, 2 e 1 per cento per contenuti problematici. Secondo Amnesty guardando ai cinque esponenti politici che hanno pubblicato più post e tweet offensivi, che hanno incitato alla discriminazione e in cui hanno attaccano altri politici, i partiti cui sono riconducibili sono tre: Lega (Salvini, Manfredi Potenti, Claudio Borghi, Edoardo Rixi e Severino Nappi, quest’ultimo non eletto), Fratelli d’Italia (Lucio Malan, Roberto Menia) e Azione (Calenda).
Sono gli stessi partiti rivelati osservando i nomi dei politici che si sono espressi in modo più discriminatorio rispetto ai diritti umani. “Se i politici quelle energie che mettono nell’insultarsi l’un l’altro le dedicassero a parlare di diritti in modo costruttivo saremmo già un passo avanti nella lotta alla discriminazione – commenta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia -.
Invece l’intolleranza, l’esclusione sociale, la marginalità partono proprio da qui: dall’assenza dei temi e delle persone nel dibattito pubblico; dalle rappresentazioni stereotipate e dalle generalizzazioni; dal linguaggio d’odio che viene sdoganato da chi per primo dovrebbe dare un buon esempio”.