Dalle facce sorridenti in televisione, ai mugugni sotto banco per una manovra economica che ha deluso – se non frustrato – i sogni di gloria di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Insomma un testo che a dispetto di trattative serrate che sembravano dover portare a un accordo capace di accontentare tutti, alla fine ha visto uscire vincitori soltanto Giorgia Meloni e i suoi fedelissimi che l’hanno spuntata su (quasi) ogni punto in agenda.
Salvini e Berlusconi hanno promesso di tutto ai loro elettori ma alla fine la manovra Meloni li ha lasciati a bocca asciutta
Una situazione che sembra colpire soprattutto la Lega che, guardando a cosa chiedeva prima e a cosa è finito nel testo finale della manovra, si è vista bocciare praticamente ogni richiesta. Qualcosa che a molti sembra incredibile visto che il ministro dell’Economia e delle Finanze è ben saldo nelle mani di Giancarlo Giorgetti, ossia il numero due del Carroccio. Eppure questo dettaglio la dice lunga sui rapporti di forza all’interno della maggioranza.
Il titolare del Mef, infatti, è uno stimato economista, considerato da molti il volto moderato della Lega nonché esponente di quella che fino a qualche mese fa veniva chiamata l’ala governista del partito. Tutti aspetti che, dopo lo strabordante risultato alle scorse elezioni, hanno convinto la Meloni ad affidargli l’ambito ministero, dando vita a una solida collaborazione tra i due.
Un’intesa che probabilmente Salvini aveva capito in anticipo tanto che, proprio mentre si litigava per scegliere la composizione della squadra di governo, aveva chiesto di non conteggiare Giorgetti tra i ministri leghisti con una richiesta che è sembrata sancire una rottura o comunque una grande distanza tra i due.
Chiaramente non si può pensare che il ministro possa aver remato contro il suo partito ma, al massimo, può non essersi battuto più di tanto per far avverare le promesse elettorali – in alcuni casi strampalate – del Capitano. Particolarmente dolorosa deve essere stata la batosta ricevuta da Salvini sul suo cavallo di battaglia: la flat tax. Come noto a tutti, in ogni occasione possibile e immaginabile – anche dopo che la Meloni lo ha invitato a tenere un profilo basso e a non lanciare promesse irrealizzabili – il leader del Carroccio non faceva che raccontare la sua idea di fiscalità.
“La prima cosa che si può fare nel primo Consiglio dei ministri sarà alzare il tetto alla flat tax, da 65mila euro all’anno a 100mila euro” per i lavoratori autonomi, ha raccontato perfino prima del varo ufficiale dell’esecutivo. Parole che hanno irritato la leader di Fratelli d’Italia che mentre lavorava per formare la sua squadra di Governo, evitando sparate pubbliche, ha dovuto assistere a teatrini continui in cui, per giunta, il socio di minoranza sembrava voler dettare la linea al nascente esecutivo.
Su flat tax e pensioni non è andata come chiedeva Salvini
Quel che è certo è che sulla flat tax non è andata come chiedeva il Capitano, ormai sempre più comprimario, visto che il Consiglio dei ministri lunedì ha innalzato la flat tax da 65mila euro a 85mila per le partite Iva. E non è andata meglio neanche sull’altro cavallo di battaglia della Lega, ossia del sistema pensionistico. In campagna elettorale Salvini ha sempre detto che si sarebbe fatto di tutto per evitare il ritorno alla Fornero, lanciando l’idea della formula denominata Quota100.
Peccato che il Consiglio dei ministri non gli ha dato retta visto che alla fine ha varato Quota 103, ossia 41 anni di contributi versati e 62 anni di età. Dulcis in fundo, ciò a dimostrazione della sconfitta su tutta la linea incassata dal Capitano, c’è la questione delle accise sui carburanti che il leader di via Bellerio prometteva di cancellare una volta arrivato al governo. Una promessa elettorale di per sé irrealistica che, incredibilmente, si è trasformata in un boomerang visto che le accise sono rimaste e che lo sconto che era stato disposto dal governo di Mario Draghi è stato dimezzato, con il risultato che il carburante costerà di più di prima.
Berlusconi deluso. Voleva portare le pensioni minime da 525 a mille euro. Ma l’aumento supera di poco i 50 euro
Ma se la Lega piange, di certo non ride Forza Italia. Berlusconi, infatti, non può che leccarsi le ferite visto che le sue istanze sono state respinte al mittente. La batosta più grande è stata quella ricevuta sull’aumento delle pensioni minime – pari a circa 525 euro – che il Cavaliere voleva portare a mille euro. Una promessa insostenibile tanto che alla fine, malgrado innumerevoli trattative, il Consiglio dei ministri ha scelto sì di innalzarle ma soltanto di una cinquantina di euro.
Ma per gli azzurri che già promettono battaglia in Parlamento (leggi articolo a pagina 4) i dispiaceri per questa manovra sono arrivati anche dal taglio del cuneo fiscale che, a detta loro, doveva essere “imponente” mentre alla fine è stato talmente piccolo da aver scontentato tutti, inclusi sia i lavoratori ai quali è arrivata poco più che una mancia che gli imprenditori che sono stati del tutto esclusi dal provvedimento.