Una manovra che scarica i costi sulla povera gente, a partire dai percettori del Reddito di cittadinanza, e che agevola i privilegiati è frutto di ignoranza o di ferocia sociale. A dirlo a La Notizia è lo storico e il politologo Marco Revelli.
È arrivata la prima Manovra del governo Meloni. La premier e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, l’hanno definita “coraggiosa”. Professore Revelli che ne pensa?
“Che ci vuole un bel coraggio effettivamente a presentare delle manovre di questo genere. È una manovra degna di questo governaccio che, come si poteva capire fin dall’inizio, ha sui fondamentali dei vincoli ferrei e quindi non può sgarrare rispetto alle regole poste dall’esterno, vale a dire l’Europa, i mercati e via dicendo. E non potendo uscire da quelle rotaie, da quel pilota automatico, come l’aveva chiamato Mario Draghi a suo tempo, che continua a operare alla faccia del loro sovranismo, scarica sui poveracci. Da una parte dunque chi governa scarica i costi sulla povera gente, a cominciare dai percettori del Reddito di cittadinanza, dall’altra è prevedibile che giocherà le sue carte su questioni ideologiche di bandiera simboliche (come i diversi, i migranti, alcuni diritti delle persone). Ma c’è poco da stupirsi. Da un governo che ha una radice post fascista, o neofascista che dir si voglia, da una destra illiberale non ci si poteva aspettare nient’altro di diverso”.
La scure del Reddito di cittadinanza cala sugli occupabili. Come si giustifica questa operazione?
“Per trovare una giustificazione a un’operazione di questo tipo bisogna essere terribilmente ignoranti o far finta di non sapere. Ignoranti rispetto alla composizione dei percettori del Reddito di cittadinanza ma soprattutto ignoranti rispetto alle nuove condizioni del mercato del lavoro e alla condizione dei lavoratori occupati. Escludere dal sussidio gli occupabili vuol dire ignorare il fenomeno dei working poor che oramai anche i gatti conoscono, dal momento che se ne parla tanto da una quindicina di anni. Si tratta cioè di quell’esercito di lavoratori che pur avendo un posto di lavoro, persino stabile, sono poveri. È un fenomeno post novecentesco. Nel Novecento industrial-fordista questa figura era sconosciuta. Chi aveva un lavoro non era povero e chi era povero non aveva un lavoro. Oggi invece c’è un numero crescente di persone, e di famiglie che dipendono da queste persone, che pur avendo un posto di lavoro sono in condizioni di povertà sia relativa (ovvero hanno un reddito del 50% inferiore al resto della popolazione e dunque vivono una situazione di grave marginalità) sia assoluta (e si tratta in questo caso del 13% delle famiglie operaie, che hanno come capofamiglia un operaio) e non hanno il minimo indispensabile per condurre una vita dignitosa. E tutto questo avviene in contrapposizione flagrante con la Costituzione che dà a tutti il diritto di condurre una vita dignitosa. Ora tutti questi verranno esclusi dal Reddito di cittadinanza. Chi ha pensato a una cosa del genere, però, denota o un abisso di ignoranza o un abisso di ferocia sociale. Perché è un’operazione da sadismo sociale privare di quel po’ di ossigeno chi sta sotto la soglia di dignità”.
In Manovra peraltro ci sono misure che, a detta di tanti, ammiccano agli evasori, dall’innalzamento del tetto all’uso del contante al condono sui debiti col fisco.
“E si capisce. Tutto questo viene pensato per consentire ai privilegiati di continuare a godere del proprio privilegio. Ma questo sta nel dna di questa gente che è al governo, che si identifica con chi sta bene, con chi non ha problemi ad arrivare alla fine del mese. E da cui pretendono di ottenere i voti e a volte capita che i voti li ottengano anche dai poveri. Viviamo in un contesto di grande confusione in cui un poveraccio vota i propri carnefici. È già successo negli anni Trenta, peraltro”.
Dal taglio del cuneo fiscale – per i redditi fino a 20mila euro tre punti in meno – si è calcolato che arriveranno per i redditi più bassi pochi spiccioli in più al mese.
“Certamente. Così come si calcolava che dall’abolizione dell’Iva su pane, pasta e latte, che avevano in mente, il guadagno sarebbe stato di pochi centesimi l’anno. Tutto questo ha una dimensione grottesca. E stupisce che una parte consistente del sistema mediatico, a partire dai grandi giornali, come il Corriere della Sera, faccia finta di niente”.
Contro la Manovra il Pd di Enrico Letta ha annunciato che scenderà in piazza il 17 dicembre. Il leader del M5S, Giuseppe Conte, ha evocato pure la piazza. Crede che questi due fronti delle opposizioni possano convergere?
“Temo che il Pd abbia consumato anche i residui brandelli di credibilità. La disastrosa campagna elettorale e l’altrettanto disastrosa vigilia di un congresso segnano il punto estremo di caduta di questa formazione politica che non sa cos’è e cosa vuole, che non ha identificato il proprio radicamento sociale, che vive di briciole di potere e che rischia di rimanere senza il terreno su cui poggiare i piedi. Temo che le piazze del Pd siano fantasmatiche. Credo invece che il M5S possa contare su una capacità di mobilitazione non solo al Sud – dove hanno intercettato il malessere generalizzato e presentato una proposta che ha un connotato sociale esplicito – ma anche in alcune aree metropolitane del Nord dove l’Istat ha registrato sacche di nuove povertà molte estese e dove forse la Lega ha sbagliato i propri conti non intercettandole. Il taglio del Reddito di cittadinanza rischia di mandare in estrema sofferenza queste aree del Nord e può darsi che abbiano un moto di ribellione”.