Il deputato di Azione Enrico Costa è stato eletto all’unanimità (18 voti su 18) nuovo presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera, l’organo che decide in prima istanza sulle richieste dei pm e dei gip di compiere alcuni atti d’indagine (perquisizioni, arresti, intercettazioni) nei confronti degli onorevoli, nonché sui ricorsi degli stessi onorevoli che ritengono violata la loro immunità.
Appena insediate le Giunte parlamentari già al lavoro. Franceschini e Costa sommersi di fascicoli penali
Trattandosi di una commissione di garanzia, la carica di presidente spetta a un deputato dell’opposizione. Costa, ex viceministro della Giustizia e ministro agli Affari regionali e autonomie, è noto per le sue posizioni ipergarantiste e critiche verso la magistratura. Un nome che si aggiunge a quello di Dario Franceschini, eletto il giorno prima presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di palazzo Madama. Due elezioni condivise dato che nel primo caso c’è stata unanimità, nel secondo 18 voti a favore di Franceschini su 19 (l’altro è stata scheda bianca dello stesso ex ministro Pd). Vedremo se nei lavori parlamentari rimarrà tale convergenza di vedute.
Cosa non banale e non scontata, ma che scopriremo probabilmente molto presto dato che in Parlamento già è stata consegnata varia documentazione relativa proprio a richieste di immunità parlamentare. Sono in massima parte tutte questioni sorte durante la scorsa legislatura e non affrontate però dalle precedenti Giunte di Camera e Senato. I nomi coinvolti sono di quelli altisonanti. Luigi Di Maio, Vittorio Sgarbi, Carlo Fidanza, Gianni Tonelli e addirittura la stessa premier Giorgia Meloni.
Parliamo come detto di richieste di “deliberazione in materia di insindacabilità” su cui appunto gli ex deputati non sono riusciti a pronunciarsi. Tutti costoro dunque sono stati toccati da inchieste e si attende il giudizio del Parlamento per capire se riconoscere immunità parlamentare o meno. Ma per cosa sono indagati? Partiamo proprio dalla premier. “Non avremmo potuto immaginare che fosse un truffatore”: per questo tweet dopo un servizio de Le Iene e riguardante l’avvocato Fabrizio Pignalberi, ex esponente FdI in provincia di Frosinone, la premier è stata querelata dallo stesso Pignalberi.
Il pm, per cui non è “applicabile l’art. 68 della Costituzione” che appunto riconosce immunità nel caso in cui le dichiarazioni afferiscano l’attività parlamentare, ha trasmesso le carte a Montecitorio, da cui ora si attende il giudizio. Esattamente come per Di Maio, toccato da due inchieste sempre per diffamazione, una delle quali trasmessa alla Camera già nel giugno 2018. La questione in quel caso nasceva dalla lista nera che l’allora vicepresidente della Camera aveva inviato all’ordine dei giornalisti.
Da lì la querela di una delle giornaliste in lista, Elena Polidori. Il record-man è senz’altro Sgarbi per il quale si contano cinque richieste di deliberazione nell’ambito di tre procedimenti penali e due civili, sempre nati da querele per diffamazione sporte contro l’ex deputato. Una di queste nasce dalla denuncia della pm Laura Condemi, che aveva chiesto un processo per il critico d’arte, accusato di aver certificato come autentici alcuni lavori riconducibili all’artista Gino de Dominicis. Il critico è stato prosciolto da ogni accusa, ma nel frattempo aveva definito l’indagine “irresponsabile e criminale” e la pm una “povera disperata”.
In attesa di vedere cosa verrà deciso caso per caso, i partiti sono già al lavoro per le prossime nomine, specie per gli organi di garanzia, ovvero Copasir e Vigilanza Rai. Partite non facili specie dopo che Matteo Renzi ha lanciato la sua Opa sulla Vigilanza, commissione però su cui ha puntato gli occhi anche il Movimento 5 Stelle.