Dopo la fatica del Consiglio dei ministri di lunedì e la prima conferenza stampa da premier, per Giorgia Meloni è giunta l’ora del primo viaggio ufficiale a Bruxelles. Si tratta di un’occasione davvero importante per il nostro Paese in quanto il Presidente del Consiglio, da sempre critico verso l’Europa, incontrerà in un colpo solo tutti i vertici delle istituzioni europee.
La Meloni getta la maschera. Oggi chiederà alla presidente von der Leyen flessibilità sulla prossima Manovra
Un fitto calendario di appuntamenti che inizierà alle 16 con il faccia a faccia tra Meloni e Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo, poi alle 17.30 toccherà al meeting con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, e alle 19 ci sarà l’ultima riunione con protagonista Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo.
Che la premier italiana abbia deciso di effettuare il primo viaggio all’estero proprio nelle sedi dell’Unione europea non è di certo un caso. Questo perché il destino del nostro Paese, schiacciato da un debito pubblico record, da una situazione internazionale turbolenta e dal caro bollette, oggi più che mai è legato al supporto dell’Ue. Così, come fanno sapere le parti, oggi si discuterà di Ucraina, attuazione del Pnrr e – forse – di un possibile scostamento di bilancio. Il problema, però, è che i rapporti tra Roma e Bruxelles al momento sono a dir poco tiepidi, se non addirittura freddi, e per questo non è chiaro cosa potrà concretamente ottenere la leader di Fratelli d’Italia.
Del resto la diffidenza delle istituzioni europee ha radici tanto solide quanto lontane nel tempo. Meloni & Co hanno da sempre un atteggiamento ambiguo nei confronti dell’Unione europea. Sin dal momento della sua fondazione, Fratelli d’Italia si è imposto come un partito piuttosto critico verso Bruxelles. Basta andare sul sito della leader per leggere una sua vecchia intervista a Libero, pubblicata a novembre 2013, in cui sosteneva che “ci mettono in croce, ma siamo fra i primi contribuenti di Bruxelles, è ora di rivedere i patti”. Non solo.
Poco dopo ci andava giù ancor più duramente paventando addirittura l’Italexit: “Se per stare nell’euro uccidiamo il Paese è meglio andarsene”. Certo da quel momento di acqua sotto i ponti n’è passata tanta e queste posizioni sono state smussate, ma resta un diffuso scetticismo. Ma questa è solo la prima sparata contro la moneta unica e per averne contezza basta scorrere l’account twitter della leader che il 25 marzo 2017 scriveva: “L’#euro è una moneta sbagliata destinata a implodere. Vogliamo lo scioglimento concordato e controllato dell’#Eurozona #ItaliaSovrana ST”.
Per non parlare dell’ultima campagna elettorale dove la leader ha mostrato un atteggiamento ambivalente perché quando parlava con i media internazionali rassicurava i partner Ue, mentre quando dai palchi elettorali fomentava il proprio elettorato allora usava frasi di senso opposto come: “L’Europa è preoccupata (dalla vittoria del Centrodestra, ndr)? È finita la pacchia”.
Ma a rendere complicato il rapporto tra Roma a guida Fratelli d’Italia e Bruxelles ci sono anche altre ruggini. La Meloni, al pari di Matteo Salvini, è vicina ai Paesi del patto di Visegrád, in particolare l’Ungheria di Viktor Orbán e la Polonia di Mateusz Morawiecki, spesso definiti come modelli da seguire in fatto di diritti e valori. Peccato che si tratta di Paesi che sono, ormai da anni, al centro di un continuo braccio di ferro con Bruxelles – spesso combattuto a suon di sanzioni e censure – per via di violazioni delle più basilari regole democratiche, come il presunto assoggettamento della magistratura al Governo ungherese, e dei diritti umani visto che in tali Stati l’aborto è quasi un miraggio e le discriminazioni nei confronti della comunità Lgbtq+ sono all’ordine del giorno.
Per non parlare del fatto che quando Ursula fu eletta presidente della Commissione Ue, a votare contro il nome dell’allora ex ministra tedesca erano stati, guardacaso, la Lega e Fratelli d’Italia. E anche guardando al Pnrr che la Meloni ha più volte detto di voler rinegoziare, la strada appare impervia. Già perché qualcuno potrebbe far notare alla premier che il nostro Paese ha preso degli impegni e che ci sono tempi piuttosto stretti, oppure potrebbe rinfacciarle il fatto che è curioso che tale istanza arrivi dalla leader di un partito, Fratelli d’Italia, che sul Pnrr in ben quattro votazioni su cinque ha scelto l’astensione.