“Lasciateli lavorare”, si sente dire in giro a proposito del governo Meloni. Non è d’accordo invece Tomaso Montanari, storico dell’arte, accademico e saggista italiano, rettore dell’Università per stranieri di Siena.
Montanari, dicono sia troppo presto per esprimere giudizi o per fare opposizione, che ne pensa?
“Io credo che un’opposizione democratica di un governo confessatamente fascista non possa che partire immediatamente e debba provare ad impedire a quelli di svolgere un lavoro prevedibilmente dannoso per la nazione. Un governo di questo tipo si giudica dalle idee e dall’orientamento. La pregiudiziale antifascista, lo ripeto da sempre, dovrebbe essere il prerequisito fondamentale. Qui siamo di fronte a un corpo estraneo della vita democratica. Siamo di fronte a un governo legittimo formalmente che ha comunque il 27 per cento dei consensi sul piano sostanziale, tenendo conto degli astenuti. Nella crisi della democrazia questo è successo grazie a una legge elettorale chiaramente incostituzionale. Personalmente penso che meno facciano meglio sia”.
Come giudica la squadra di governo?
“Se nel centrosinistra il livello è bassissimo qui siamo di fronte a un livello infimo. Si tratta di un governo figlio di spartizione, di cognati, di consiglieri dei capi, di uomini della propaganda. Dopo avere ripetuto per mesi “siamo pronti” hanno dimostrato di essere tutt’altro che pronti. Dopo 70 anni arrivano inevitabilmente al governo con quello che hanno ovvero con una classe dirigente infima”.
Molti però invitano ad apprezzare che Giorgia Meloni sia la prima donna a Palazzo Chigi, colei che ha sfondato il tetto di cristallo…
“Ma proprio per niente. Il problema delle donne è di riuscire a arrivare a ruoli apicali senza introiettare valori maschili. Se arrivi ai vertici aderendo al modello patriarcale il fatto che tu sia una donna è irrilevante. Giorgia Meloni è accettata perché depotenziata, omologata. Ce l’ha fatta lei ma non significa avere risolto la questione femminile. In questo caso poi Meloni appoggia un modello che non solo è patriarcale ma che addirittura criminalizza le differenze”.
Come giudica il comportamento della stampa?
“Ovviamente indecente. Non parlo di tutti quelli che fanno seriamente il loro mestiere. Il Corriere della Sera è già transitato da quella parte ma anche su Repubblica vedo crepe importanti. È il solito problema: il consenso al potere, vorrei dire servilismo, si sta già manifestando. Di vede da come viene romanticizzata la figura della presidente e da come ci si allinei a chiamarla “il” presidente senza rendersi conto che è un errore. Il supplente a scuola riferito a una donna è un errore: si dice la supplente, la docente. È italiano. La stampa è riuscita a omologarsi anche sugli errori di grammatica”.