Diciamo la verità: ieri ci siamo rimasti male per il torto fatto ai ministeri delle colonie e della propaganda, che non avrebbero sfigurato affatto insieme a quelli della sovranità alimentare, della sovranità ecologica, della natalità e del merito. Nomi nuovi, anzi vintage, per onorare il governo più a destra dal dopoguerra, che ha una novità indiscutibile e tutti i vecchi difetti. La novità è la prima premier donna, una svolta non banale, a cui Paesi come gli Usa non sono ancora arrivati, e maturata fuori da quella finzione che sono le quote rosa.
Giorgia Meloni, con le sue promesse in parte terrificanti e in parte irrealizzabili, è riuscita a imporsi da sola, anche grazie a una formazione politica partita da lontano. Questo non le ha impedito però di presentare una squadra con alcuni degli errori di sempre. Ci sono i conflitti d’interesse con Crosetto, che passa diretto dai venditori di armi al ministero della difesa che le acquista, e con la Santanchè, che da responsabile del turismo dovrà decidere come sostenere il settore dove operano le sue imprese. C’è il nepotismo, anche se Lollobrigida neoministro dell’agricoltura si arrabbia se si ricorda che sua moglie è la sorella del premier.
E c’è l’eterna presa in giro del Sud, cioè la parte del Paese che ha bisogno di più risorse, per la quale è stato previsto un ministero come al solito senza portafoglio. Certo, da una leader che ci hanno spacciato per la novità della politica italiana, ci aspettavamo qualche vecchia cariatide in meno e qualche giovane in più. Ma l’aria che tira è così tanto retrò…