La suggestione è partita direttamente da Silvio Berlusconi. Istituire un ministero dell’Energia e affidarlo a Paolo Scaroni, che oggi è anche presidente del Milan, è una proposta nata nei corridoi di Arcore ma che non convincerebbe affatto Fratelli d’Italia.
La suggestione è partita direttamente da Berlusconi. Istituire un ministero dell’Energia e affidarlo a Paolo Scaroni
La sola ipotesi sollecita la reazione scandalizzata di Carlo Calenda: “Scaroni è il maggior responsabile insieme a Berlusconi della nostra dipendenza dal gas russo. Nominarlo ministro dell’Energia equivarrebbe a metterci l’ad di Gazprom”. Allibiti si dicono i Verdi.
“Stiamo parlando della persona che ha portato l’Italia a dipendere dal gas russo, tacciando come ‘ubriacone’ chi proponeva le rinnovabili per una strategia energetica che tenesse conto di costi e ambiente. Davvero si vuole mettere il ministero chiave di questa legislatura nelle mani di un uomo a cui la storia ha già dato torto e responsabile del disastro energetico che viviamo e nemico del clima?”, si chiede Angelo Bonelli.
Ma chi è Paolo Scaroni? Nato a Vicenza nel 1946, figlio di un industriale locale, si laurea in Economia e Commercio alla Bocconi, trova subito lavoro in Chevron e completa l’istruzione con un master alla Columbia University. Già nel 1985 è amministratore delegato di Techint. Una strada tutta in discesa, fino a quando non arriva un “enorme problema”, sotto forma di Mani Pulite, che costringe Scaroni a imparare a pedalare in salita.
Nel luglio del 1992 il manager viene arrestato con l’accusa di aver pagato centinaia di milioni di lire al partito socialista italiano per ottenere appalti dall’Enel. Una vicenda che si risolve nel 1996, dopo una lunga confessione in cui sottolineava il “terrore” incusso dal “potere di Craxi”, con un patteggiamento a una pena di un anno e quattro mesi. E da lì ricomincia la discesa.
Proprio nel 1996 Paolo Scaroni sbarca in Inghilterra, come ad di Pilkington. Il ritorno definitivo in Italia avviene nel 2002 con la chiamata di Berlusconi che lo vuole all’Enel in qualità di amministratore delegato. Tre anni dopo, nel 2005, il salto nel settore del petrolio e del gas, come ad di Eni, incarico che ricopre per nove anni fino al maggio 2014. Nel 2006 torna di nuovo in Tribunale, questa volta ad Adria, dove viene processato come ex ad di Enel per l’inquinamento del Delta del Po con la centrale di Porto Tolle, viene condannato in Cassazione a un mese di reclusione per un reato però ormai prescritto e già convertito in ammenda da 1.140 euro.
Poi ci saranno altre grane giudiziarie da cui Scaroni esce però con un’assoluzione. Così nel processo con al centro il caso Saipem-Algeria su una presunta maxitangente da 197 milioni di dollari. Così nel processo su un’altra presunta maxi tangente da 1,092 miliardi di dollari pagata da Eni e Shell in Nigeria per ottenere la licenza del campo petrolifero Opl245.
A rendere incompatibile, o quantomeno inopportuno, il ruolo di Paolo Scaroni alla guida di un dicastero per l’Energia però è il suo averci consegnato mani e piedi al gigante russo energetico Gazprom. E dunque essere il primo responsabile dei nostri guai di oggi. Nel 2006 Scaroni nella sua qualità di capoazienda dell’Eni firmò a Mosca un accordo con Gazprom che di fatto ci ha reso dipendenti dal gas di Mosca.
Per effetto dell’intesa Gazprom estese la durata dei contratti di fornitura di gas fino al 2035 a Eni, che in questo modo si confermava il primo cliente mondiale del colosso russo. Non solo. Fu sempre l’Eni di Scaroni a contrattare per anni con Gazprom un nuovo sistema di determinazione del prezzo del gas svincolato dall’andamento delle quotazioni del petrolio e collegato a un nuovo parametro: la Borsa del gas Ttf di Amsterdam. Quello cioè che ora viene considerato un vero cappio al collo per noi. Pensare di affidare a un manager il compito di toglierci dai guai che quello stesso manager ci ha procurato sembrerebbe davvero una beffa. Oltre al danno.