“Il disagio sociale supera i confini della povertà conquistando nuovi spazi, inghiottendo 3 milioni di famiglie per un totale di 10 milioni di persone, mietendo nuove vittime tra coloro che fino a oggi pensavano di esserne al riparo”. È quanto afferma il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, commentando quanto emerge dal focus Censis-Confcooperative Un paese da ricucire.
“Il disagio sociale supera i confini della povertà conquistando nuovi spazi, inghiottendo 3 milioni di famiglie per un totale di 10 milioni di persone”
Undici famiglie su cento, secondo lo stesso focus, hanno una spesa per consumi sotto la soglia di povertà. Almeno 300mila imprese rischiano di crollare sotto il peso di oltre 300 miliardi di debiti, rischiando di far ingrossare le file della povertà con pesanti contraccolpi per l’occupazione di circa 3 milioni di persone. Si preannuncia un autunno caldo a cui dare risposte”.
Il quadro emergenziale è fotografato dalla povertà delle famiglie, dal lavoro povero e dal lavoro nero, dalle difficoltà crescenti delle imprese con contraccolpi sull’occupazione e sul credito. Tra assoluta e relativa la povertà nel nostro Paese colpisce circa 3 milioni di famiglie, pari a circa 10 milioni di persone. Il numero di famiglie in povertà assoluta sono 1.960.000, l’equivalente di 5.571.000 di persone.
Quasi 2 milioni le famiglie in povertà assoluta
Mentre sono 2.895.000 le famiglie, 8.775.000 di persone, che vivono in condizioni di povertà relativa. Percepire un reddito da lavoro dipendente non è più sufficiente a mettersi al riparo dal rischio di cadere in povetà e da condizioni di disagio dalle quali può diventare difficile affrancarsi. Sul totale degli occupati 22.500.000, il 21,7%, pari a 4.900.000 svolge lavori non standard (dipendenti a termine, part time, part time involontario, collaboratori).
I più colpiti da queste condizione di precarietà economica e sociale, sottolinea lo studio di Censis-Confcooperative, sono i giovani (38,7% nella classe d’età 15-34 anni), basso livello di istruzione (il 24,9% ha la licenza media), di risiedere nelle regioni meridionali (28,1%). Sono invece 4 milioni i dipendenti “a bassa retribuzione” nel settore privato (retribuzione annua inferiore ai 12 mila euro); di questi 412 mila hanno un lavoro a tempo indeterminato e full time. Sono 3,2 milioni gli occupati irregolari. Di questi 2,5 mln nei servizi; 500 mila i “falsi autonomi” e 50 mila i lavoratori delle piattaforme. Sul futuro della tenuta sociale nel lungo periodo pesa la condizione dei pensionati: il 40%, 6,2 milioni di persone, percepisce un reddito pensionistico complessivo è uguale o inferiore a 12.000 euro.
Quelli “poveri”, che percepiscono cioè un reddito pensionistico nell’anno uguale o inferiore ai 12 mila euro sono 6,2 milioni, pari al 40%. Il 60% delle pensioni di anzianità o vecchiaia non raggiunge i 10 mila euro all’anno. La pensione di cittadinanza – con un importo medio mensile di 248 euro – è percepita da 126mila pensionati, di cui circa un terzo costituito da persone in condizioni di disabilità. Torna ad aumentare il rischio default per le imprese italiane negli anni 2019-2022.
Le imprese a rischio erano il 12,6% nel 2019 salgono al 16,1%
Le imprese a rischio erano il 12,6% nel 2019 salgono al 16,1%. Le imprese vulnerabili crescono da 29,4% al 32,6%. Le imprese solvibili scendono dal 40,5% al 36,1%%. Le imprese solide calano dal 17,5% al 15,2%. Le più colpite sono le microimprese più esposte all’impatto di questa “tripla crisi”. Le micro imprese (meno di 10 addetti) sono a rischio default il 16,7%, vulnerabili il 35,2%. Tra le piccole (10-50 addetti) a rischio default il 9,9% e il 26% sono vulnerabili. Le medie (50-250 addetti) a rischio default il 6%, vulnerabili il 19,9%. Tra le grandi (oltre 250 addetti) a rischio default il 4,4%, vulnerabili il 15,6%.
L’impatto su imprese, addetti e debiti finanziari potrebbe avere un epilogo drammatico. A rischio default 100.000 imprese, mentre 200.000 rimarrebbero estremamente vulnerabili con 832.000 persone occupate a rischio e 2,1 milioni vulnerabili. Con 107 miliardi di debiti finanziari a rischio e 196 vulnerabili. La distribuzione geo territoriale della crisi evidenzia una maggiore fragilità delle imprese del Sud e delle isole, ma sono interessate tutte le regioni italiane, anzi in termini assoluti e non relativi morde di più nel Nord Est e nel Nord Ovest.