di Amedeo La Mattina per “La Stampa”
«Non è il momento della guerra delle firme, non è il momento di dividersi mentre in giunta si vota la mia decadenza da senatore e siamo di fronte alla tragedia di Lampedusa. Così facciamo un favore al Pd. Dobbiamo tenere i nervi saldi». E invece la guerra è scoppiata. L’appello di Berlusconi è caduto nel vuoto. La sensazione è che il Cavaliere non controlli più il partito, non riesce a sedare uno scontro all’ultimo sangue.
Anzi all’ultima firma, visto che ieri falchi e «lealisti» berlusconiani ne hanno raccolte 100 sotto un documento per sbarrare la strada ad Alfano. Un modo per dimostrare chi rappresenta la maggioranza dei gruppi parlamentari. Fra i firmatari Carfagna, Gelmini, Verdini, Bondi, Capezzone, Santanché, Malan, Polverini, Brunetta e Fitto.
Il giorno dopo la grande piroetta del Cavaliere e la fiducia al governo Letta, il lutto per la tragedia di Lampedusa non è servito a fermare il braccio di ferro. Per la verità gli alfaniani, con il ministro dell’Interno volato nell’isola siciliana, volevano fermare l’assalto alla conquista del partito. Sconvocata la conferenza stampa dei ministri Pdl e rinviata la presentazione di un documento di proposte e contenuti per dare un senso politico e programmatico a quanto è accaduto l’altro ieri al Senato.
Questo «manifesto» a sostegno della leadership di Alfano sarà comunque scritto nei prossimi giorni e sarà sottoscritto da una sessantina di senatori e deputati. Grosso modo sono quelli che hanno firmato la proposta di Cicchitto. «Pochi? Quanto basta a tenere in piedi il governo e poi – spiega l’ex capogruppo Pdl – se Letta andrà avanti fino al 2015, vedrete quanti se ne aggiungeranno. In ogni caso doveva essere una giornata di tregua e di riflessione nel Pdl.
Ci troviamo di fronte invece ad un ulteriore atto di aggressività e di conflittualità». Cicchitto si riferisce al fatto che una delegazione di «lealisti» (così amano chiamarsi ora i falchi) sia andata a Palazzo Grazioli per consegnare a Berlusconi il suo documento con le 100 firme in calce. «Venti parlamentari bussano a palazzo Grazioli per la resa dei conti interna. In un giorno come questo… senza parole», scrive su Twitter Quagliariello.
In mezzo ai due eserciti che si contendono la leadership del Pdl, Gasparri, Matteoli e Romani chiedono di tenere unito il partito. «Siamo tutti berlusconiani – dice Gasparri – e una frattura proprio quando Berlusconi è sotto attacco e la giunta vota la sua espulsione dal Parlamento mi sembra pura follia».
Ma il problema è che i cosiddetti «lealisti» si sono mossi subito perché hanno la sensazione, forse la certezza, che il Cavaliere, nelle due ore di incontro di ieri mattina, abbia consegnato il Pdl nelle mani di Alfano. Il quale ha chiesto la testa di Verdini, Santanché, Bondi, Capezzone e perfino del direttore del Giornale Sallusti.
Insomma, un colpo alla prima fila dei falchi che lo bollano come il capo dei traditori. Vuole, o meglio, vorrebbe fare fuori anche Brunetta da capogruppo: in quel delicato snodo in cui passano i rapporti tra gruppo e governo ha intenzione di mettere una persona che corrisponda alla sua linea politica e che non sia sempre sulle barricate. Cicchitto?
Ora, è vero che l’ex premier ha ceduto il partito ad Angelino, ma non sembra che gli abbia dato tutto il potere, mano libera per ghigliottinare i suddetti avversari interni. Il Cavaliere è stufo, amareggiato, pensa alla sua decadenza, è terrorizzato di finire in galera e di mettersi a mediare tra queste due fazioni in lotta non ne ha voglia. Vuole che Alfano sia il capo ma non il boia. Vorrebbe salvare i suoi pasdaran e coloro che non hanno militato in nessuna delle due fazioni, come Fitto, Gelmini, Carfagna. Poi, se un’intesa non verrà trovata, allora una parte continuerà a tenersi il Pdl e l’altra (i falchi) diventeranno Forza Italia. Un divorzio consensuale.
Berlusconi nega che ci siano divisioni. Dice: «Non siamo più un partito di plastica. Il Pdl è un partito unito, c’è solo qualche contrasto interno. Ora vedo tutto questo dissenso sui giornali ma io sono stato due ore con Alfano e non ci sono le cose che vedo sui giornali e sulle agenzie».