Non ha ancora varcato il portone di Palazzo Chigi che Giorgia Meloni ha già capito come deve governare. E almeno su due punti non intende discostarsi dalla linea di Mario Draghi. Dal no allo scostamento di bilancio a una politica estera al servizio degli americani, la leader di Fratelli d’Italia raccoglie il testimone dal premier uscente.
Non ha ancora varcato il portone di Palazzo Chigi che Giorgia Meloni ha già capito come deve governare
La ferma posizione filo Nato e anti Russia manifestata negli ultimi mesi da Meloni, in relazione alla guerra in Ucraina, è infatti in perfetta sintonia con quella difesa a spada tratta dall’ex banchiere. Se sull’Europa tentenna guardando più che a Bruxelles a Budapest, sulla necessità di mantenere solidi i rapporti dell’Italia con gli Stati Uniti. Meloni non ha riserve.
“Penso non ci siano dubbi su quale sia, secondo FdI, la collocazione che l’Italia deve avere” sul piano internazionale “e lo abbiamo ampiamente dimostrato dall’opposizione. Gli Usa sono uno dei nostri principali alleati”, ha spiegato. “Non ho dubbi – ha aggiunto – sul fatto che l’Italia, indipendentemente dall’amministrazione che sta governando in quel momento, debba avere e mantenere un rapporto molto solido con gli Usa. Che vuol dire: stare a testa alta nel campo occidentale, starci con affidabilità, anche per lavorare a difesa del nostro interesse nazionale”.
E a domanda precisa se con il centrodestra al Governo cambierebbe la posizione italiana nei riguardi della guerra in Ucraina la risposta è un secco “no”. “Penso che l’Italia non debba discostarsi dalle decisioni degli alleati e della comunità internazionale. “Se l’Ucraina cadesse, il grande vincitore, oltre alla Russia di Putin, sarebbe la Cina”.
Secondo la leader di FdI una differenziazione della posizione italiana non cambierebbe ai fini del conflitto, ma se decidessimo di ritirare le sanzioni e di non dare le armi a Kiev saremmo considerati invece l’Italia inaffidabile, tutta “spaghetti e mandolino”. “Con il futuro dell’Ucraina – è lo slogan – decidiamo anche il futuro dell’Italia”.
Adolfo Urso, presidente del Copasir e uno dei più stretti consiglieri della Meloni, poco meno di dieci giorni fa è volato nella capitale americana per una missione in cui si proponeva di rassicurare l’alleato a stelle e strisce che se dovesse vincere le prossime elezioni, sulla politica estera la leader di Fdi garantirà continuità con il governo Draghi.
Atlantismo, sostegno all’Ucraina, cooperazione per la sicurezza energetica, azione comune per fronteggiare l’espansionismo russo e cinese nel Mediterraneo e in Africa sono le questioni sulle quali Urso ha garantito ai suoi interlocutori che FdI è e rimarrà al fianco degli Usa. “Per gli americani la cosa principale è che l’Italia mantenga il suo impegno verso il governo e il popolo ucraino. Un impegno che ha garantito l’unità atlantica ed europea in un momento delicatissimo”, ha spiegato il presidente del Copasir.
E Gli Stati Uniti – ha riferito l’ambasciatore della leader di FdI – apprezzano la chiarezza e la coerenza di Giorgia Meloni e considerano la leader di Fratelli d’Italia una figura politica “pienamente affidabile”. E sulla fedeltà alla Nato della Meloni è pronto a giurarci anche Matteo Renzi. “Sarebbe scorretto e disonesto negare che Meloni è stata la prima ad avere una posizione atlantista contro la Russia”, dice il leader di Italia Viva, replicando ad Enrico Letta che sostiene che se vincerà il centrodestra alle elezioni Putin brinderà.
Tutte argomentazioni che, in un senso e nell’altro, fanno accapponare la pelle al leader del M5S che non è andato a baciare la pantofola di nessuno dei capi esteri e che spinge perché l’Italia si faccia promotrice di un negoziato di pace in Ucraina.
“Tra i leader politici io sono l’unico a dire che la strategia che, come governo italiano e come tutta l’Unione europea, stiamo seguendo, decisa a Washington e Londra, è sbagliata. Il rischio è solo una ulteriore escalation militare”, spiega Giuseppe Conte. “Gli elmetti bellicisti di Meloni e Letta sono diretti a Washington. In Italia pensano che si governa solo col placet di Usa”, taglia corto Conte.
Messaggio della Casa Bianca al prossimo governo: Su armi a Kiev e sanzioni a Mosca non si torna indietro
“Chiunque diventerà il nuovo primo ministro in Italia, il presidente americano dovrà parlarci subito e prendere le misure di quella persona e stabilire cosa questo significherà”. Se l’avesse detto qualsiasi altro leader, senza scomodare Vladimir Putin su cui è inevitabile avere il nervo scoperto, ci sarebbe stata una levata di scudi da parte della politica. Del resto queste parole della Casa Bianca se non sono una minaccia, appaiono quantomeno un’odiosa ingerenza che arriva proprio a pochi giorni dal voto.
Questo perché, senza giri di parole, l’amministrazione a stelle e strisce di Joe Biden è convinta che a prescindere da chi siederà a Palazzo Chigi, gli Usa terranno l’Italia al guinzaglio. Si tratta di un intervento a gamba tesa, per giunta arrivato dopo la premiazione a Washington di Mario Draghi come statista dell’anno, fatto con il preciso scopo di mettere pressione al futuro governo che non potrà decidere autonomamente in fatto di politica internazionale.
Certo è che dalla Casa Bianca, forse comprendendo di aver esagerato, poco dopo è arrivato anche una sorta di mezzo chiarimento spiegando che “è un po’ difficile giudicare in questo momento, nel fervore di una campagna elettorale, senza sapere come si formerà una coalizione, cosa sarà esattamente. Quindi non voglio prevedere o caratterizzare, perché ci sono così tante variabili incerte”. Ma ormai la frittata è fatta e queste precisazioni posticce non sembrano in grado di convincere nessuno.
Già perché le parole contano e quelle dell’amministrazione sono chiaramente un messaggio per dire che Washington segue con grande attenzione questa campagna elettorale italiana. Ma c’è di più. Joe Biden e i suoi fedelissimi che non hanno mai perso l’occasione per elogiare Mr.Bce, da sempre vicino alle posizioni americane, hanno ben chiaro in mente che le cose in futuro saranno più complicate perché chi ne prenderà il posto non sarà altrettanto mansueto.
Proprio per questo hanno fatto filtrare quali sono le linee rosse che il futuro governo non potrà superare e che, alla luce dell’esplosiva situazione internazionale, non possono che essere la fedeltà alla Nato, la fornitura di armi all’Ucraina e l’emissione di ulteriori sanzioni contro la Russia.
Che le cose stiano proprio così lo ha messo in chiaro uno stretto collaboratore di Biden che ha spiegato la posizione ufficiale della Casa Bianca: “Non crediamo che, indipendentemente da come andrà a finire, l’Italia in qualche modo lascerà la coalizione occidentale dei paesi che sostengono l’Ucraina. E io penso che nemmeno i nostri partner chiave in Europa lo credano. Questo non significa che le cose andranno esattamente come con Draghi. Però ritengo che questa narrativa sulle elezioni italiane, secondo cui il cielo sta cadendo, non corrisponde alle nostre aspettative su ciò che probabilmente avverrà”.
Può sembrare un controsenso avere tanta sicurezza su come andranno le cose ma evidentemente ciò dipende dal fatto che a Washington e dintorni devono essere arrivate rassicurazioni piuttosto precise dai vari leader, a partire da Giorgia Meloni che tutti danno come la più che probabile vincitrice di questa tornata elettorale.
E che la linea americana basata sul pugno di ferro con la Russia, anche alla luce delle minacce di ricorrere all’arsenale atomico lanciate da un Putin sempre più incontrollabile, resta e resterà immutata appare chiaro anche dalle mosse di Bruxelles. Già perché proprio come chiesto da Biden, sia la presidentessa della Commissione Ue Ursula von der Leyen che l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell si sono subito messi “agli ordini”.
E puntuale come un orologio svizzero, Bruxelles ha annunciato che presto verranno varate nuove sanzioni economiche destinate a “colpire duramente Mosca”. Quali saranno è ancora un rebus che verrà sciolto soltanto dal Consiglio straordinario con i ministri degli Affari Esteri ordinato d’urgenza da Borrell.
Il problema è che malgrado Bruxelles tenti di far apparire l’Unione europea come granitica nel suo sforzo in favore di Volodymyr Zelensky e dell’Ucraina, tanto che la fornitura di armi a Kiev continua imperterrita come da ordini di Washington, qualcosa nel supporto incondizionato alle sanzioni sta iniziando a scricchiolare.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare tutto ciò non sta accadendo perché i leader europei hanno capito che Bruxelles deve trovare una propria linea di condotta indipendente dalla Casa Bianca, tanto meno perché alla luce delle ultime terrificanti minacce di un’apocalisse nucleare hanno compreso che bisogna puntare tutti gli sforzi nel tentativo di far sedere Putin e Zelensky allo stesso tavolo, quanto dall’economia dei Paesi membri che sta annaspando sempre di più.
Proprio per questo ieri la Commissione Ue, con una mossa a tratti surreale, da un lato ha detto che presto saranno varate nuove durissime sanzioni mentre dall’altro ha detto che intende ammorbidire alcune sanzioni minori citando in particolare quelle che colpiscono il carbone, i prodotti che ne derivano e i fertilizzanti.
“L’Ue è impegnata a fare in modo che le sue sanzioni non colpiscano il commercio di articoli critici verso paesi terzi in tutto il mondo” è stata la spiegazione della Commissione. Peccato che a molti questa giustificazione è apparsa un po’ forzata anche perché si verrebbe a creare il paradosso che da un lato si blocca il gas e il petrolio russo mentre dall’altro si procede, per giunta attraverso delle triangolazioni con Paesi terzi poiché l’acquisto diretto è vietato, con la fornitura di carichi di carbone prodotto in Russia.
Comunque la si veda questa mossa ha del grottesco perché permette di finanziare indirettamente Mosca. Proprio per questo i ministri dell’Est Europa sono sul piede di guerra e parlano di decisioini calate dall’alto, lasciando intendere – in modo tutt’altro che velato – che tale decisione è stata presa per venire incontro a Germania e Italia che, prive del gas russo, sono corse ai ripari riattivando le super inquinanti centrali a carbone.