Non è una novità. L’Italia è sempre stata a caccia di capri espiatori. E non desta stupore che ancora una volta l’ultimo sia la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno fatto a gara, ora e in passato, ad addossarle qualsiasi insuccesso.
Salvini e Meloni hanno fatto a gara, ora e in passato, ad addossare qualsiasi insuccesso alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese
È stato il loro parafulmini preferito che si parlasse di rave, del dilagare delle baby gang, degli sbarchi di migranti, delle manifestazioni no Green pass, dell’assalto alla sede della Cgil. La Meloni addirittura si mise a raccogliere firme per presentare una mozione di sfiducia nei confronti del numero uno del Viminale.
In queste ore Lamorgese è finita nuovamente nel mirino di Fratelli d’Italia per le contestazioni che Meloni avrebbe ricevuto nel corso di alcuni suoi comizi. Domenica la leader di FdI ha confessato di aver chiamato il ministro.
“Ma lei si rende conto – ha detto Meloni alla Lamorgese – che significa far arrivare dei contestatori che ti insultano, non viene il dubbio che a un certo punto qualcuno possa innervosirsi, che possano esserci dei problemi? Voglio capire dal ministro Lamorgese, da chi gestisce l’ordine pubblico, se qui si sta cercando l’incidente per poi dire che noi siamo inaffidabili, per poi scaricarlo su di noi, per poi farci un po’ di campagna elettorale”.
Accuse pesanti che ieri ha rilanciato: “In nessuna democrazia evoluta l’unica opposizione al Governo è oggetto di sistematici attacchi da parte di ministri, cariche istituzionali e grandi media. E, soprattutto, in nessuna democrazia occidentale il Governo consente scientificamente provocazioni che potrebbero facilmente sfociare in disordini – durante la campagna elettorale – nelle manifestazioni politiche dell’opposizione. Questa gente parla di Europa, ma il loro modello è il regime di Ceaușescu”.
Parole che ricordano tanto quelle che la stessa Meloni rivolse alla Lamorgese dopo il famoso assalto alla sede della Cgil di Roma. La leader di FdI accusò Luciana Lamorgese di non aver fatto nulla per evitare quell’assalto volutamente: “è stato calcolo – accusò – siamo tornati alla strategia della tensione”.
Oggi trova come fiero alleato in questa contestazione anche il leader di Italia viva che ha chiamato in causa Lamorgese per le parole a suo dire “violente” che il leader del M5S gli avrebbe rivolto. “Sbaglia chi interrompe i comizi della Meloni”, dice Matteo Renzi. E ora anche Impegno civico ha deciso di presentare un’interrogazione alla Lamorgese, “affinché si garantisca l’incolumità dei nostri attivisti e candidati”.
La ministra Luciana Lamorgese è stato soprattutto il bersaglio prediletto di Salvini. A fine agosto commentando gli ultimi sbarchi di migranti ha snocciolato la sua ricetta per contrastare l’immigrazione con queste parole: “Non occorrono i blocchi, basta rimettere i decreti sicurezza e che al Viminale non ci sia chi non vede, non sente e non parla. Anzi, se avete notizia dell’attuale ministro dell’Interno segnalatelo a ‘Chi l’ha visto?’”.
Il suo astio contro il ministro ha raggiunto vette paradossali alla fine dello scorso anno quando un’inchiesta della procura di Foggia sul caporalato gli ha consentito di tornare ad attaccare Lamorgese. Il motivo? Tra i 16 indagati c’era anche Rosalba Bisceglia, moglie di Michele Di Bari, prefetto e capo del dipartimento per l’immigrazione del ministero dell’Interno, che dopo la diffusione della notizia dell’indagine sulla moglie subito si dimise.
Salvini ne approfittò per scagliarsi contro Di Bari per i dati sull’immigrazione che raccontavano di nuovi sbarchi. Peccato che a nominare Di Bari non era stata Lamorgese – che l’aveva solo confermato – ma chi l’aveva preceduta al Viminale. Ovvero Salvini. Quando si dice che l’amore è cieco, ma anche l’odio non scherza.