“Non ci saranno le larghe intese, niente inciuci”. Il segretario del Pd Enrico Letta prova a scaldare il cuore dell’elettorato promettendo che non ci sarà nessun governo “con la destra” che definisce “neofossile”.
La strategia del leader del Pd Letta è di segnare una netta distanza tra il proprio partito e la destra italiana
La strategia del leader del Pd è di segnare una netta distanza tra il proprio partito e la destra italiana (Salvini, Berlusconi e Meloni) fingendo di non governarci insieme anche nell’odierno governo provvisorio. È la solita promessa, a cui faticano a credere persino gli elettori più affezionati del Pd. I democratici evidentemente confidano nella memoria labile degli italiani. Allora vale la pena dare una spolverata.
L’ultima volta che il Partito democratico (e i suoi prodromi) hanno rifiutato “gli inciuci” (come li definisce Letta oggi, quando fino a ieri li chiamava “governi di responsabilità”) era il lontano 28 giugno del 1992. Al governo si insediava Giuliano Amato per dare atto alla più larga manovra del dopoguerra (93mila di miliardi di lire) con il prelievo forzoso retroattivo del 6 per mille dai conti correnti degli italiani.
Il Pds decise di stare all’opposizione con i suoi 107 deputati e 64 senatori, insieme alla Lega Nord di Bossi, Rifondazione Comunista, Msi, Pri, Verdi, La Rete, la Lista Pannella. Da lì in poi – sono passati 30 anni – non si è persa un’occasione di partecipare ai governi larghi, destra inclusa, entrando in ogni governo a ogni occasione. Nel 1993 il governo Ciampi vede il Pds partecipare al cinquantesimo governo della Repubblica italiana.
Fu quello della fine della Prima repubblica, conclusosi dopo 1 anno e 12 giorni con il sottofondo delle monetine lanciate a Bettino Craxi. Crolla tutto, arriva Silvio Berlusconi che stravince fino a che non arriva il primo “governo tecnico” della storia: Lamberto Dini tiene insieme i Pds, Lega Nord, il Partito Popolare Italiano e i Democratici. Ai tempi si inventò il famoso “appoggio esterno”, operazione di maquillage linguistico per non dire “ci siamo ma ce ne vergogniamo”.
Ci furono poi il governo Prodi e i due governi D’Alema finché non arriviamo al fatidico secondo governo Amato. Da lì due governi Berlusconi, c’è il secondo Governo guidato da Romano Prodi, il quarto governo Berlusconi e si arriva al secondo “governo tecnico” della storia repubblicana: il governo Monti.
Siamo nel periodo della “responsabilità” e così il Pd accetta di entrare in maggioranza con il Pdl di Berlusconi, con Futuro e Libertà di Fini, Udc, Popolo e Territorio (di centrodestra), Api di Rutelli, Pli e altri. Scopo del governo era “evitare il tracollo economico dell’Italia”, dissero i democratici provando a spiegare ai propri elettori come fosse accaduto che il “grande nemico” Berlusconi e il destrorso Fini ora fossero allegri compagni di viaggio.
Rimase in carica dal 16 novembre 2011 al 27 aprile 2013. Arriviamo quindi ai giorni nostri. Il centrosinistra governa con Letta, poi con Matteo Renzi (che aveva pugnalato Letta) che fu costretto alle dimissioni per il suo tracollo al referendum costituzionale (promise anche di abbandonare la politica, ma vabbè) e poi il governo Gentiloni. Ultima legislatura.
Del primo governo Conte con Movimento 5 Stelle e Lega sappiamo tutto, come sappiamo tutto del ribaltone con il governo giallorosso che vide Conte guidare un governo con il Pd. Fino al governo dei “migliori”, in cui il Pd non ebbe nessuna esitazione nel governare con Salvini e con Berlusconi, tanto c’è sempre la vecchia storia dell’Italia da salvare.
Il Pd (e quello che era) ha sempre dimostrato un amore smisurato per il potere. Se Letta ci annuncia che ha cambiato natura ne prendiamo atto. Altrimenti è sempre il solito vecchio trucco.