Il primo vero smottamento dopo la presentazione delle liste in casa del Partito democratico è il fuoco dentro Base riformista, la corrente del partito fondata da Luca Lotti e Lorenzo Guerini durante i fasti di Matteo Renzi. Quando Renzi se n’è andato per apparecchiare il suo partito personale Lotti e Guerini hanno continuato a tenere viva la corrente – quella dei “sabotatori, come li chiamiamo noi”, ci dice un deputato, ma l’esclusione di molti elementi dopo il repulisti del segretario Enrico Letta ha agitato non poco le acque.
Nella chat della corrente e nei corridoi a finire sotto tiro è il ministro della Difesa Guerini, accusato di avere pensato solo a se stesso (“e al suo amico Di Maio”) senza riuscire a difendere i suoi compagni di partito. Per il “Forlani del Pd”, come lo chiamava Renzi nei tempi d’oro, ora si tratta di stare in bilico tra Letta che non lo ama particolarmente e i suoi compagni di corrente (decimata) che non vedono l’ora di defenestrarlo. Gli rimane Di Maio. Non è un gran capolavoro politico.
Dietrofront
Sulle candidature dopo i mal di pancia di ieri si registrano diversi dietrofront. Monica Cirinnà dopo essersi lamentata per avere ottenuto una candidatura in un “collegio uninominale dato perdente dai sondaggi, difficile, senza paracadute e senza che io lo sapessi” ci ripensa e annuncia di accettare la sfida. Non disdegna però polemiche al suo segretario: “Letta chiacchiera di occhi di tigre – ha detto -. Li tiro fuori ma lo faccio solo per queste persone. Perché il Pd è l’unico a poter fermare Meloni e Salvini. Ci ho pensato tutta la notte. Combattere come gladiatori è l’unico modo per non sfuggire alle mi responsabilità”.
Scena pressoché identica per Alessia Morani (anche lei in Base riformista) che appena ufficializzate le liste aveva scritto: “A mia insaputa, il mio partito ha deciso di assegnarmi il collegio uninominale di Pesaro e un terzo posto nel proporzionale. Ho comunicato al mio partito che non intendo accettare queste candidature”. Ieri ci si aspettava la formalizzazione della rinuncia e invece Morani ci ripensa.
Parla di “una marea di telefonate e messaggi di persone che mi hanno manifestato un enorme affetto e stima”, si dice “francamente molto colpita da questa mobilitazione” e annuncia: “non posso rimanere indifferente all’appello che mi viene rivolto”. E dichiara: “Tutti mi hanno detto che non posso rimanere in panchina nella partita più importante che dobbiamo giocare per il nostro paese. Sono una che combatte e non si spaventa anche di fronte alle battaglie difficili. Sono, perciò, a disposizione della nostra comunità politica”.
Mal di pancia nel Pd
Dietro a questi ripensamenti repentini, al di là delle “mobilitazioni” che in questa fase sono piuttosto strumentali, ci sarebbe un Letta molto infastidito dal ritenere la campagna elettorale “un premio” più di una sfida. Quando il segretario parlava di “occhi di tigre” si riferiva proprio alla pessima abitudine di ritenere i collegi uninominali buoni solo se sicuri. Della sinistra del Pd si rivede Gianni Cuperlo, non candidato alle scorse elezioni e ora in una posizione difficilmente eleggibile.
Malumori si registrano anche in Articolo 1 che ha ottenuto solo tre posti utili (tra cui il ministro Speranza) e poco altro. “Passa la voglia di pensare a un rientro nel Pd”, dice uno di loro. Mentre tra gli zingarettiani oltre al “caso” Cirinnà si registra l’esclusione di Valeria Fedeli: l’ex ministra dell’Istruzione si dice a disposizione del partito comunque. Il risultato delle lezioni deciderà la forma che assumeranno i malumori.