Giorgia Meloni ci ha preso gusto, e semmai qualcuno si fosse perso l’intervista a Fox News o l’esplosione del suo ego ieri è tornata a confermare che farà la premier, ovviamente se il 25 settembre il suo partito otterrà il maggior numero di voti nella coalizione.
Giorgia Meloni insiste: “Pronta a governare”. La replica di Matteo Salvini: “Presto per parlarne”
Fumo negli occhi per Matteo Salvini, che su questo gioca di sponda con Silvio Berlusconi. “Non ci sono ministri adesso, premier, sottosegretari: aspettiamo il 25 settembre”, ha tagliato corto il leader leghista, tornato a montare i suoi cavalli di battaglia per non farsi superare dall’alleata: tasse e immigrazione. Con un’aggiunta sorprendente: una critica serrata ai cambi di casacca in Parlamento, che hanno sicuramente interessato marginalmente la Lega in uscita, ma non in entrata, visto che il partito ha accolto fuoriusciti da più parti.
La solita doppia morale di Salvini, insomma, che a questo punto della campagna eleettorale già comincia a sparare alto, oltre le promesse più improbabili. “Vogliamo estendere la flat tax al 15% anche ai lavoratori dipendenti”, ha annunciato a Radio Montecarlo, sicuro che “nell’arco dei 5 anni si può fare” ma ovviamente senza dire mai con che soldi.
Fatto sta che adesso la tassa piatta non è più promessa alle sole partite Iva, ma anche al bacino larghissimo dei dipendenti. Una novità che sa tanto di ennesima sparata priva di qualunque possibilità, e di sicuro più mirabolante delle proposte concrete vantate più volte dal Centrodestra in contrapposizione con il Pd, tacciato dai rivali di essere alieno rispetto ai problemi veri degli italiani.
Su questa scia, è arrivata puntuale pure la “pillola” quotidiana del presidente di Forza Italia, che ha attaccato i dem sul fronte della patrimoniale. In un video diffuso sui social, il Cav se l’è presa con la proposta di una tassa “sui nostri risparmi” rilanciata da Enrico Letta. Berlusconi dunque ha promesso che FI non approverà mai, in modo assoluto, un’imposta patrimoniale sulla casa, sui risparmi, sulle successioni e sulle donazioni.
Silenzio assoluto, invece, sulla “gara” per la presidenza del Consiglio: per FI la questione sembra relegata alle solite schermaglie fra gli alleati più giovani, acuite ora dai tempi stretti della campagna elettorale. Per gli azzurri, il nome in pole per Palazzo Chigi sarebbe quello di Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo e forte della benedizione del Ppe fuori dall’Italia.
Nel frattempo, la coalizione va avanti sul programma e nel pomeriggio ha riunito di nuovo il tavolo ad hoc. La partita dovrebbe chiudersi in settimana. Tra i punti blindati c’è il ritorno dei decreti sicurezza che portano la sua firma dei tempi in cui era ministro dell’Interno per arginare gli sbarchi dei migranti. Così sembra aver detto alla Meloni che bastano quelli anziché il blocco navale su cui però la leader di Fratelli d’Italia resta ferma, che l’ha definita “la soluzione migliore”.
In ogni caso per ora non ci sono scontri aperti fra i leader, che si vedranno per un nuovo vertice dopo Ferragosto. Al contrario, le acque sono ancora agitate sulla ripartizione dei collegi elettorali dopo le recenti mosse dei “centristi” e il patto tra l’Udc e Coraggio Italia. In ballo ci sarebbero i collegi per l’Udc, inizialmente presi in carico da FI e ora in via di definizione, per valutare se il partito di Lorenzo Cesa deve rientrare negli 11 posti assegnati a luglio alla formazione di Maurizio Lupi e Luigi Brugnaro. FdI sarebbe pronta a cedere altri 2 collegi e metterli a disposizione dei piccoli, ma la partita non è chiusa.