C’è un piccolo video che gira a più riprese sui social in questo periodo. Protagonista è Nanni Moretti al tempo dei girotondini. Era il lontano 2002. Il regista era sul palco a Piazza Navona quando, al termine del suo discorso, esclamò: “Con questo tipo di dirigenti non vinceremo mai”.
Non c’è una sola promessa del Pd che sia stata mantenuta
Sono passati da allora esattamente venti anni ed è fin troppo facile dire che Moretti, autore incredibilmente visionario e sempre attuale, ci aveva visto giusto e continua a vederci giusto ancora oggi. Perché è questo ciò che viene in mente guardando ai primi giorni di campagna elettorale del Pd e di Enrico Letta. La potenziale speranza di un processo riformatore vero in Italia, in opposizione al conservatorismo della destra, è naufragato prima ancora di partire.
Tutto legittimo, per carità. In politica, specie in democrazia, è sacrosanto cambiare idea. Ciò che non è legittimo, però, sono le ragioni: si dice, fuori dal politichese, che i Cinque stelle sono irresponsabili perché hanno fatto cadere il governo e, dunque, bisogna ripartire dall’agenda Draghi assurta inaspettatamente a modello di una nuova sinistra. E come fare per realizzare tutto questo?
Non affidandosi a chi, tanto per dire, ha proposto Reddito di cittadinanza, salario minimo, superbonus e via dicendo. Ma dialogando con chi parla di nucleare, con chi ha voluto il Jobs act in passato, con chi ritiene che gli interessi dell’azienda vengano prima di quelli dei lavoratori. Arrivando al paradosso che, in opposizione alla coalizione di destra, si voglia costruire un’alternativa che tutto è meno che “di sinistra”.
La verità è che le responsabilità non sono soltanto di Letta (sarebbe ingeneroso riconoscere l’attuale segretario come unico responsabile). Il problema è molto più profondo e corrisponde a una sorta di peccato originale del Pd che, è bene dirselo chiaramente, non ha mai avuto un programma chiaro, riconoscibile, schietto e netto per gli elettori. Mai una posizione chiara sul lavoro, mai una posizione nitida sul tema delicato della cittadinanza, mai una presa di posizione, magari anche scomoda, sui temi energetici.
Con la conseguenza inevitabile che, se non si ha un programma o una battaglia a cui aspirare, ogni programma va bene, ogni battaglia è condivisibile o meno, a seconda della convenienza. Ed è esattamente quello che sta succedendo ora.
Il partito che fu di Berlinguer da anni non ha un programma chiaro. E oggi copia l’Agenda Draghi
L’esito di una tale accozzaglia senza senso è che evidentemente la coalizione non reggerà, con la conseguenza che, se il centrosinistra (chiamiamolo così per convenzione, non per altro) dovesse vincere, o si sfalderà oppure dovrà rinunciare a mille battaglie (come fare transizione ecologica con Calenda? Come pensare allo ius scholae o alla legalizzazione della cannabis con Brunetta e Gelmini?); se invece dovesse perdere, queste elezioni politiche saranno servite semplicemente a riconfermare il già visto: non c’era alcuna ragione ideologica per mettere assieme ciò che per natura non dovrebbe stare assieme.
Perché va bene tutto, ma occorre anche farsi un esame di coscienza: le cose cambieranno solo e soltanto quando il Pd avrà il coraggio delle proprie azioni, comincerà a non cadere nei ricatti dei partitucoli per mere strategie elettorali, inizierà a porre chiaramente dei paletti, a dire anche ai suoi alleati che lo ius scholae e la legalizzazione della cannabis sono priorità.
E invece? Si tace. Perché non conviene affrontare questi temi. E nel momento in cui non ci sono temi da difendere, meglio aggrapparsi all’agenda Draghi che tutto è fuorché di sinistra, dato che nasceva da una maggioranza che aveva al suo interno pure Forza Italia e Lega. Ma nessuno lo dica troppo forte: qualcuno nel Pd potrebbe accorgersene.