Una situazione ingarbugliata che, col passare del tempo, rischia di creare ancora più malumori e mal di pancia all’interno del Movimento cinque stelle. Nel marasma generale, a sangue leggermente più freddo dopo le tensioni accumulate con l’annuncio delle dimissioni di Mario Draghi, ieri i pentastellati hanno cercato di riannodare i fili.
“Ciò che stupisce – spiega un deputato contiano – è che alla fine tutti ci dipingono come unici responsabili della crisi di governo, quando noi non abbiamo fatto altro che dar seguito a quello che avevamo detto chiaramente. E nessuno si dimentichi che Draghi, se volesse, potrebbe governare tranquillamente dato che ha i numeri”.
Dettagli non di poco conto e che, anzi, offrono una lettura diversa ma sensata rispetto a quella mainstream. Fatto sta che, anche a causa della pressione mediatica e di quella dei rivali (o ex colleghi) politici, all’interno del Movimento la situazione è piuttosto fluida.
Tutte le divisioni
Uscire dal governo subito; restare dentro e prepararsi a votare la fiducia se il premier Mario Draghi accettasse di sottoporsi a una verifica in Parlamento; prepararsi a uscire dalla maggioranza ma valutando però prima bene la strategia per affrontare la crisi. Tre posizioni si respirano oggi all’interno del Movimento e sono emerse non tanto dal Consiglio nazionale del Movimento che di fatto ha occupato l’intera giornata dei vertici pentastellati, quanto nelle chat M5S. Quel che pare, dunque, è che non c’è al momento una posizione unitaria.
È bene precisare, però, che l’opinione di gran lunga più diffusa è quella dell’uscita senza se e senza ma dall’esecutivo. Una linea caldeggiata, secondo quanto si apprende, innanzitutto dai vicepresidenti M5S Riccardo Ricciardi, Michele Gubitosa, Mario Turco e Paola Taverna, fortemente voluta soprattutto dai senatori ma anche da un nutrito gruppo di deputati.
“Diciamo – spiega una fonte interna – che se volessimo fare una stima siamo nell’ordine del 70-75% di parlamentari che sono su questa posizione”. Il dilemma di tanti di costoro, però, è che l’attendismo di Conte rischia di far scendere drasticamente questa percentuale. Il ragionamento è piuttosto logico: “Se dovessimo tornare sui nostri passi – è il ragionamento di molti – e dunque votare la fiducia o magari restare in maggioranza o al governo, come verrebbe letto quanto abbiamo fatto sul Dl Aiuti? Una mossa senza senso che disorienterebbe ancora di più i nostri elettori”.
C’è però, come detto, chi resta più attendista come, su tutti, il ministro Stefano Patuanelli e la sottosegretaria Alessandra Todde. Starebbero, invece, sostenendo l’opportunità di restare al governo – tanto da essersi letteralmente “inferociti” (questa è l’espressione utilizzata da alcune fonti) con Conte – deputati come Davide Crippa (che intanto ha convocato per oggi l’assemblea dei Deputati), Alfonso Bonafede e Federico D’Incà.
Carte in tavola
A questo punto come far quadrare il cerchio? Secondo i ben informati, tramite alcune mosse ben studiate e su cui ci sarebbe nell’ultimo periodo ampio confronto. Innanzitutto occorre aspettare la posizione (per ora ancora non chiara) di Draghi. Solo allora il Movimento potrebbe rispondere mettendo, al di là di un’ipotetica fiducia (tesi molto improbabile) o di un appoggio esterno (è questa la corsia caldeggiata dai più), dei paletti rappresentati dai 9 punti consegnati da Conte al premier.
Certo, mai come ora il Movimento sa bene che non potrebbe aspirare alla realizzazione di tutte le priorità grilline. Ecco perché c’è una scala di attenzione, per così dire. È eloquente l’esempio che ci viene fatto: “Se, per assurdo, Draghi dovesse cominciare a parlare del Superbonus, potremmo essere disposti a sederci attorno a un tavolo. Per noi questo è un tema dirimente”. La situazione, però, evidentemente resta precaria. E divide eletti ed elettori. Ed è per questa ragione che un’ipotesi al vaglio è il voto online.
“Non ci sarebbe nulla di strano – spiega qualcuno – Abbiamo interpellato la nostra base sia per il Conte1 che per il Conte2. Sarebbe nel normale ordine delle cose”. Vero. Così com’è vero che sarebbe una soluzione che salverebbe capre e cavoli: da un lato si legittimerebbe qualsiasi posizione con la “democrazia orizzontale” e, dall’altro, si eviterebbero nuove fratture. E, chissà, nuovi fuoriusciti dal Movimento 5 Stelle.