I telefoni ribollono sin dalla mattina. Fino a diventare incandescenti quando, in maniera ai più inaspettata, Mario Draghi annuncia le sue dimissioni durante il Consiglio dei ministri. Sul banco degli imputati finisce il M5S, reo nella lettura che danno la gran parte dei media e dei rivali politici di aver fatto cadere l’unico governo possibile in un periodo profondamente delicato, tra guerra in Ucraina, crisi energetica e pandemia.
M5S, ora Giuseppe Conte si trova stretto tra l’incudine e il martello
E quel caos mai sopito all’interno del Movimento è finito con l’esplodere in nottata con la riunione fiume (la seconda in due giorni di fila) del Consiglio nazionale M5S. La verità, al di là di parole e impegni formali, è che ora Giuseppe Conte si trova stretto tra l’incudine e il martello. O, fuor di metafora, tra governisti e coloro che invece non vedono l’ora di archiviare l’esperienza col governo Draghi.
“Già l’accordo sull’astensione al Senato è stata presa al 94esimo minuto”, spiega un senatore del Movimento cinque stelle. Un dettaglio che lascia intendere come divisioni ce ne fossero anche prima della decisione sulla linea da tenere sul Dl Aiuti. E col tempo il malcontento è cresciuto. Ieri Riccardo Fraccaro, subito dopo le annunciate dimissioni di Draghi, ha dichiarato: “Non sono sicuro se quello che abbiamo fatto oggi sia la cosa giusta. Ho tanti dubbi anch’io ma è da gennaio che stiamo lottando e diventa difficile se dopo sette mesi non abbiamo risposte”.
Anche il capogruppo alla Camera Davide Crippa e l’ex sottosegretario Stefano Buffagni hanno espresso contrarietà alla linea dell’Aventino parlamentare che il M5s avrebbe tenuto in Senato. Buffagni e Crippa hanno sottolineato i rischi per il Paese oltre che per lo stesso Movimento. Stessa linea del ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D’Incà che, spiegano fonti interne al Movimento, avrebbe provato quasi in autonomia (o quantomeno senza concordare la linea con Conte) ad evitare il voto di fiducia al Senato.
Al coro dei contrari si era aggiunta anche la vicepresidente del Copasir e deputata del M5S, Federica Dieni: “Si conta stando dentro, se si è in grado di farlo , non facendo le vittime del sistema. Soprattutto in questa situazione critica per il Paese tra guerra , pandemia, inflazione, crisi energetica . Non condivido”, ha scritto su Twitter.
D’altronde è un fatto significativo che i ministri e sottosegretari M5S non si siano dimessi. “È la prova del fatto che chi è dentro il governo non vuole lasciare il posto di responsabilità”, spiegano ancora parlamentari Cinque stelle. A questi, nella geografia pentastellata, si aggiungerebbero altri nomi: una decina sarebbero in tutto i deputati, più 3-4 senatori, come Fabio Auddino da sempre vicino – dicono i ben informati – alle posizioni di Di Maio ma ancora non “emigrato” nel partito-movimento-forza (o non si sa bene cosa) “Insieme per il futuro”.
Ma c’è un altro nome tra i critici alla linea di Conte che comincia inaspettatamente a circolare, ed è quello di Alfonso Bonafede. “Già alla riunione congiunta di due giorni fa – spiega un deputato – era molto contrito. Non vorrei che anche lui abbandonasse il Movimento…”.
Accanto a una schiera che sembra crescere col passare delle ore, c’è invece una fetta ampia (la maggior parte) di parlamentari entusiasti della linea contiana, per quanto dolorosa. Ma ora il punto è capire come destreggiarsi tra i due estremi: “È ovvio – spiega un senatore – che se ora ci trovassimo a votare la fiducia a un ipotetico Draghi-bis, sarebbe un autogol pazzesco, un flop inautido. E le persone si chiederebbero perché allora ci siamo astenuti provocando una crisi di governo”.
Il dubbio, in altre parole, è che qualunque sia la scelta di Conte, avrà delle ripercussioni pesanti sulla tenuta del Movimento. “Ma a questo punto – continua il senatore M5S – è meglio perdere chi non è d’accordo con la linea e restare uniti e compatti, invece che provare a mediare ancora. Anche perché abbiamo in questi mesi visto che non porta a nulla”. La situazione, dunque, resta profondamente caotica.
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