Il silenzio che regna sulle prossime elezioni regionali in Lombardia è l’impercettibile indaffararsi delle formiche: nessuno pubblicamente ne parla ma nei corridoi del palazzo e nelle segreterie dei partiti non passa un giorno senza un rilancio, uno sgambetto, qualche goccia di veleno e idee nate entusiastiche e spente già prima della sera.
Elezioni regionali, Lombardia e Sicilia sono diventate merce di scambio
Come spesso gli capita sull’altare del furibondi ci sta il centrodestra, o quello che ne rimane, ormai pronto a usare qualsiasi elezione, sia anche quella di un amministratore condominiale, per pesare gli equilibri interni e per rivendicare posizioni. Fa niente che poi, come nelle ultime elezioni amministrative, a farci le spese sia quel comune o questa regione (la Lombardia, nel nostro caso): Salvini e Meloni hanno già deciso di non lesinare sugli agnelli sacrificali pur di prendersi la guida del prossimo centrodestra e quindi – secondo i loro calcoli, approssimativamente sbagliati – la guida del prossimo governo.
Così la Lombardia e la Sicilia che fino a poco tempo fa venivano rivendute come regioni chiave a cui non poter rinunciare nello scacchiere politico nazionale oggi sono merce di scambio – o meglio, sono carne da cannone – usabili come semplici pedine per costringere il re e la regina a muoversi. Per questo la regione Lombardia, quella regione che sogna da sempre di farsi Stato, ora è solo un filo che parte da Milano e arriva a Palermo.
Questo è il primo vero fallimento politico di Salvini e soci: anni a promettere “autonomia lombarda” (consapevoli di non poterla mai ottenere come la paventano) e ora la Lombardia è una semplice figurina sul tavolo dei caminetti romani. Gli eventi lombardi, conviene dirlo, non facilitano il quadro. L’autocandidatura di Letizia Moratti è un grottesco passaggio politico che racconta come anche in Lombardia il centrodestra sia una sterile sigla che tiene insieme bande senza nessuna unità e senza nessuna reciprocità.
Se si fosse candidato l’assessore di qualsiasi presidente uscente – che per il centrodestra finora era il candidato naturale per la rielezione – in un’altra regione oggi sentiremmo gli strepiti e le ironie di tutti i maggiori quotidiani nazionali. In Lombardia – per fortuna di Moratti, Fontana e il centrodestra – vige ancora un finto perbenismo rispettoso che tenta di rendere edibile un boccone rancido e quindi si lascia passare il tutto come una compita querelle tra classe dirigente. Di certo l’attuale presidente Fontana, lo confermano i corridoi più vicini a lui, ha preso malissimo l’iniziativa dell’ex sindaca mai sazia. Ma non bisogna immaginare uno scontro di idealismi, no.
A Fontana hanno offerto una via d’uscita economicamente interessante e dignitosa: prendersi in mano l’organizzazione delle Olimpiadi di Milano e Cortina (sempre che il sindaco di Milano Beppe Sala sia d’accordo) e apparire come il “padre nobile” del rilancio internazionale. Proposta che per ora Fontana ha seccamente rifiutato, con l’appoggio del suo segretario Salvini che non può certo permettersi di farsi disarmare in un momento come questo.
Letizia Moratti da canto suo parla con la lingua che conosce meglio: i soldi. E una campagna elettorale prepagata non è roba da poco. Ma soprattutto Letizia Moratti è la “pedina di scambio” che Giorgia Meloni ha deciso di sostenere. Agli osservatori più attenti non è sfuggito che l’endorsement di Fratelli d’Italia per Moratti sia arrivato proprio da La Russa, il colonnello che giù in Sicilia continua a ripetere che Musumeci “è intoccabile”. Ecco i destini siciliani e lombardi che si incrociano: Giorgia Meloni potrebbe ripiegare su Fontana in Lombardia solo se Salvini svoltasse Musumeci in Sicilia. E la politica? Per quello si vedrà.
Affacciato alla finestra per osservare le baruffe del centrodestra, il centrosinistra ha il sorriso di chi pensa che stavolta ce la potrebbe fare davvero a vincere. Peccato che si il sorriso ciclico che ogni 5 anni spunta e che ciclicamente finisce in farsa e tragedia. Dopo un quinquennio in cui l’opposizione migliore a Fontana l’ha fatta il Covid e la sua squinternata squadra di governo il centrosinistra (che ovviamente ancora non si sa che perimetro avrà) ha provato a convincere il sindaco Sala per la scalata in Regione.
Risposta respinta al mittente: “Sono stato eletto 8 mesi fa, non sarebbe serio” ha detto il primo cittadino. Da lì in poi un arruffato panico compunto travestito da meditabonda strategia che è riuscito a partorire l’ipotesi Tabacci (un brivido lungo la schiena), poi l’ex sindaco di Brescia Del Bono (che potrebbe fare addirittura peggio del misero 29% che fu di Gori) e ora punta dritto su Carlo Cottarelli, economista buono per tutte le stagioni e per tutte le regioni (dal Lazio alla Lombardia).
Fonti del Pd dicono che “manca solo l’ok di Cottarelli per iniziare a lavorare” e che anche l’ammaccato M5S lombardo accetterebbe il candidato (altro brivido lungo la schiena). Finora l’unico dato inconfutabile è che dopo cinque anni da quelle parti sono riusciti a non avere un nome per anticipare il centrodestra in panne. E anche questa in Lombardia è una storia ormai vecchissima.