Stefano Caserini, ingegnere ambientale e dottore di ricerca, svolge da anni attività di ricerca e di consulenza per enti pubblici e privati sulle strategie di riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici e climalteranti. Titolare del corso di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative. Il suo ultimo libro è “Sex and the climate. Quello che nessuno vi ha ancora spiegato sui cambiamenti climatici”, uscito a gennaio per People.
Caserini, si sono svegliati tutti improvvisamente sul cambiamento climatico?
“È una cosa ricorrente, accade d’estate. Anche in passato d’estate per una settimana s’è parlato, in più ora c’è stata la tragedia della Marmolada. Si sa che andiamo verso un aumento di attenzione. Poi magari l’anno prossimo sarà un incendio piuttosto che un ghiacciaio”.
Nel frattempo sono spuntati anche i negazionisti…
“Sì, ma sono sempre di meno, sono sempre quei quattro gatti che riciclano le solite cose, piuttosto patetiche. Sono casi umani che non contano più niente se pensiamo alle grandi scelte che vengono fatte a livello europeo. Le decisioni, per fortuna, non tengono conto degli articoli de Il Foglio o La Verità. Un pezzo di classe dirigente non si muove perché ha in testa queste sciocchezze ma i negazionisti che 10 o 15 anni fa occupavano Il Sole 24 Ore e Corriere ormai sono scomparsi, sono ignorati dai grandi media, salvo poche eccezioni. Forse sono diventato troppo ottimista ma credo che qualsiasi persona intelligente non potrebbe dare corda ai negazionisti. È vero però che inconsciamente tutti noi non vorremmo farei conti con la gravità della situazione. Molti studi dicono che questi atteggiamenti servono per non affrontare la condizione sistemica che ci angoscia”.
Eppure alcuni sono gli stessi che decantavano la scienza e se la prendevano con i No Vax…
“Li vedo più come inattivisti che negazionisti. Il negazionismo nega la scienza del clima, dice che le cause sono altre. L’inattivismo – termine coniato dal climatologo Micheal Mann – è più subdolo e pericoloso perché non entra nel merito e ci dice che dobbiamo agire con calma. Non accetta l’urgenza dell’azione, i tempi della transizione. Se noi vogliamo rispettare l’accordo di Parigi che abbiamo ratificato la transizione deve essere fatta in 30 anni, non in 100. Non voler accettare le conseguenze della scienza del clima è tipico dell’inattivismo che mette in discussione non le cause causa ma il fatto che che dobbiamo agire. L’inattivista magnifica i problemi della transizione e non vede i benefici, non ascolta gli studi che invitano ad agire rapidamente sul cambiamento climatico”.
Ieri nucleare e gas sono entrati nella tassonomia verde europea, qualcuno dice che è un brutto colpo per la transizione ecologica. È d’accordo?
“Non dobbiamo esagerare. Certamente è un segnale negativo, ricordiamoci però che la politica europea è fatta di una quantità di pacchetti di azioni e interventi e con questa votazione non “crolla” tutto. L’impalcatura Ue è composta di tanti tasselli, al massimo ora si indebolisce dal punto di vista finanziario. Non la metterei giù così dura. La cosa preoccupante è che dovremo mettere in campo cambi pesanti e non lo stiamo facendo. Non stiamo mandando abbastanza segnali ai cittadini.
Come giudica l’operato di Draghi e Cingolani sulla transizione?
“Da osservatore li ritengo non adeguati alla sfida che abbiamo davanti. Sia dal punto di vista dei messaggi a livello comunicativo sia nelle scelte. Draghi e Cingolani certo non negano ma nella realtà non mi sembra che l’azione sul clima sia considerata una priorità all’interno del sistema di sviluppo socioeconomico che ci si vuole dare. Con questo tipo di approccio difficilmente così riusciremo a gestirla. Se poi diciamo che la transizione sarà un bagno di sangue che messaggio ne esce? È il legislatore che deve dimostrare di saper gestire gli impatti della transizione. Del resto ci sono più fondi e persone che lavorano per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina che per le politiche di adattamento ai cambiamenti climatici”.
Intanto è spuntato il nuovo asse Renzi-Calenda-Salvini sul nucleare…
“Non ci vorrei perdere troppo tempo. Il nucleare non ha nessuno possibilità di sviluppo qui da noi. Nei Paesi in cui già c’è si può discutere ma dove non c’è immaginarlo nei tempi della transizione energetica è praticamente infattibile. Non è nemmeno una questione politica o ideologica. Noi dobbiamo ridurre molto le emissioni in 10 anni, quindi è un dibattito che si basa sul nulla. Il cuore è il sole e il vento, lo si vede negli scenari dell’IPCC, e noi abbiamo sole e vento. L’energia solare è la leva centrale per lo sviluppo del Paese. E stiamo qui a parlare di nucleare? È un modo per perdere altro tempo. Facciamo fatica a mettere antenne 5G, impianti di compostaggio e inceneritori (che se bene gestiti inquinano meno della legna bruciata nelle case): come possiamo pensare di mettere 20/30 centrali nucleari (perché questi sono gli impianti che servirebbero) in Italia? Vorrei conoscere qualcuno che avvii un processo partecipativo”.
Conterà la questione ambientale alle prossime elezioni?
“Sicuramente nelle prossime elezioni sarà molto più presente. Cresce il tema perché la gente se ne accorge. Una volta erano un temi dei Verdi, ora è di tutto il centrosinistra. Quanto questo conterà nei rapporti di forza non lo so ma dipende molto dai mezzi di informazione. Da noi i mezzi di informazione tra l’altro di fatto non vogliono spingere verso la transizione decisa e per l’abbandono dei combustibili fossili. Sono certo che conterà di più, “quanto” lo vedremo”.