Avrà ancora a che fare con le macerie, questo è certo. Don Domenico, così ama farsi chiamare monsignor Domenico Pompili, è stato nominato nuovo vescovo della Diocesi di Verona.
Lascia Rieti, Valle Santa francescana, ma, soprattutto, terrà di mezzo e di terremoto. Sette anni dopo la sua nomina, oltre metà dei quali passati tra le macerie di Amatrice e Accumoli, il vescovo-giornalista – in passato è stato a capo della comunicazione della Cei – è stato chiamato da Papa Francesco a rimettere a posto le cose nella città scaligera.
Il Papa spedisce a Verona monsignor Domenico Pompili, per cinque anni in prima linea tra le macerie di Amatrice
A Verona non c’è stato un terremoto come quello di Amatrice, ma qualcosa del genere. Il nome di Pompili, infatti, è rimbalzato sulla stampa nazionale più volte negli ultimi giorni dopo l’indiscrezione che potesse lasciare Rieti per Verona. La notizia è stata confermata ieri e domani, a Rieti, sarà lui stesso ad annunciarlo.
A Pompili, bergogliano di ferro (il Papa è venuto a Rieti ben 4 volte in 7 anni), toccherà fare i conti con i burrascosi trascorsi del vescovo in carica a Verona, monsignor Giuseppe Zenti, autore durante la campagna elettorale appena terminata e vinta da Damiano Tommasi, di una discussa “lettera elettorale” (e non pastorale) in cui chiedeva ai veronesi di fare attenzione ai programmi dei candidati, premiando coloro sostenevano la famiglia “non alterata dall’ideologia gender”. Pompili, dunque, avrà a che fare con un’altra difficile missione.
Don Domenico Pompili è un vescovo giovane, ha da poco compiuto 59 anni, gode di ottima stima tra le mura della Santa Sede e, soprattutto, ha dimostrato, sul campo, di avere tutti i numeri in regola per gestire crisi complesse. Il 24 agosto 2016, ad Amatrice, poco dopo la tremenda scossa che l’aveva rasa al suolo, era sul campo accanto alla comunità ed era ancora lì, in prima linea, nei giorni scorsi. Maniche rimboccate, ventre a terra.
Pompili lascia nel Reatino, da dove negli ultimi giorni si sono levati invano vari appelli affinché il Vaticano non lo trasferisse, la eco di parole spesso critiche e dure, come quelle pronunciate, ad esempio, ai funerali delle vittime del sisma davanti alle più alte cariche dello Stato: “Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo!”.