In mezzo al caos totale di questi giorni, a sentire più voci interne alla maggioranza resta una sola certezza: “Oggi il governo Draghi non cadrà”. Si dà per certo, dunque, che alla fine il Movimento cinque stelle, pur avanzando richieste concrete, non arriverà al punto di mettere in pericolo la stabilità di Mario Draghi. Con l’inevitabile effetto che ovviamente anche la scissione per adesso è rimandata.
Il M5S non arriverà al punto di mettere in pericolo la stabilità del governo Draghi
“Il punto – spiega più di qualcuno – è che è cominciata una guerra di nervi incrociata: da una parte Giuseppe Conte contro Luigi Di Maio; dall’altra Giuseppe Conte contro Mario Draghi non che intende deviare la rotta”. L’Italia, è convinto il premier, risponderà ancora una volta presente alle richieste di aiuto che arrivano da Volodymyr Zelensky e dal popolo di Kiev.
“Se l’Ucraina non si difende non ci può essere la pace”, ha ribadito il premier in più di un’occasione e la convinzione resta granitica. Non solo. “I progressi verso la pace si possono fare solo se si va avanti uniti, sia in Italia che in Europa”, è la linea, ribadita dall’inquilino di palazzo Chigi anche a Emmanuel Macron e Olaf Scholz in in occasione del viaggio a Kiev.
E vale sia per quel che riguarda il dossier energia, con il tetto Ue al prezzo del gas, la soluzione alla crisi del grano, la risposta da dare sul fronte migratorio. In Parlamento, però, è, come si sa, sulle modalità per sostenere la resistenza ucraina che i gruppi si dividono.
Quel che pare – almeno fino a ieri sera – è che la mediazione sulla risoluzione che accompagnerà le comunicazioni del premier Draghi (oggi al Senato, il 22 alla Camera) punta soltanto su un maggiore coinvolgimento del Parlamento ma senza che sia necessario un ulteriore voto riguardo un ulteriore invio delle armi.
Il Movimento 5 stelle mette da parte la tentazione di presentare un proprio documento e si presenterà in Aula, dunque, chiedendo formalmente che il governo riferisca su ogni passaggio della guerra in Ucraina. Un compromesso che da una parte permette a M5s di rivendicare la centralità della Camera e del Senato, dall’altra però viene interpretato da una parte dei gruppi come un passo indietro rispetto alle richieste iniziali.
Resta ovviamente la profonda divisione interna. I contiani ritengono che Di Maio stia cercando lo strappo nascondendo il vero nodo del contendere. I fedelissimi del ministro degli Esteri pensano che l’atteggiamento di Conte sia una sorta di harakiri e che si ponga contro la posizione portata avanti dall’intero esecutivo.
A essere a rischio è la tenuta del governo. Ciò su cui però ci sono pochi dubbi è che pare sia stato lo stesso Conte a dare il via libera ad una sintesi che poi dovrà passare al vaglio dei parlamentari. La tensione resta, perché una parte dei deputati e (soprattutto) dei senatori insiste sulla necessità di una vera svolta. Insomma, nei due giorni che ci attendono alla fine, dopo tanto fumo, non dovrebbe accadere nulla di eclatante.
Anche se per partorire il testo in questione sono state impiegate ore, proprio per i dubbi sollevati ieri da diversi esponenti dell’organo pentastellato – in primis Alfonso Bonafede, Chiara Appendino e Davide Crippa – sulla guerra interna con Di Maio e su quello che, seppur senza espulsione, è suonato come un processo, con grande amarezza dello stesso Grillo per l’immagine ‘ammaccata’ del Movimento.
Gli alibi – sia questo l’invio di armi all’Ucraina, sia questo il tema del doppio mandato – sono superati: ora comincia la vera resa dei conti. Per il Movimento. E, chissà, per il governo Draghi.