Politche 2023: resta l’obbligo di raccogliere le firme per la presentazione delle liste alle prossime elezioni? Per alcuni sì, per altri no. Una norma cucita su misura per alcuni partiti, a partire da +Europa di Emma Bonino e Noi con l’Italia di Maurizio Lupi. Per garantire la partecipazione elettorale alle Politiche del 2023, evitando il fastidio della raccolta firme.
Passaggio che invece sarà obbligatorio per altri partiti, come Alternativa e Potere al popolo. Il decreto election day, arrivato all’esame dell’Aula della Camera, presenta ancora una volta qualche escamotage, la “solita” deroga.
“È il tipico emendamento porcata di fine legislatura che vuole favorire le forze politiche di maggioranza e danneggiare le forze fuori dal sistema”, dice a La Notizia Andrea Colletti, deputato di Alternativa. La proposta reca la firma di Riccardo Magi con la riformulazione da parte dell’intera maggioranza.
E c’è di più: è stata inserita in un provvedimento pensato per regolare il voto del 12 giugno scorso. L’emendamento, approvato nei giorni scorsi in commissione a Montecitorio, delinea, restringendolo, il raggio d’azione di chi è tenuto a raccogliere le firme per presentare le liste alle elezioni.
Obbligo di firme, a chi Sì e a chi No
Una sanatoria che interviene in maniera chirurgica. Da quanto si legge nel testo saranno esentati dall’obbligo i soggetti che si sono costituiti in gruppo parlamentare entro il 31 dicembre dello scorso anno.
Una concessione a Italia Viva, che ha visto formare i gruppi alla Camera e al Senato già nel 2019, ma ancora di più un gradito dono a Coraggio Italia, il progetto di Brugnaro e Toti ormai in via di dissoluzione, fondato nel maggio 2021.
Chissà: forse fino al 2023 il partito non esisterà più, intanto si mette al riparo dalla necessità di raccogliere le firme. La norma si è spinta oltre: è saltato l’obbligo delle sottoscrizioni per i partiti che hanno concorso “alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione”, ottenendo l’1% dei voti validi.
Cosa significa? Nel concreto è una ciambella di salvataggio a Noi con l’Italia di Lupi e a +Europa, che nel 2018 si sono presentati in coalizione. Ma anche un modo per garantire Articolo Uno, il partito del ministro della Salute, Roberto Speranza.
Per assurdo, dalla sanatoria dell’emendamento risulta escluso Potere al popolo, che alle ultime Politiche ha raggiunto l’1%. Ma con il peccato originale di non essersi presentato in coalizione, preferendo la corsa in solitaria. Non solo. Restano tagliati fuori altri soggetti che animano il confronto politico, come Alternativa: non c’è alcun riferimento alle componenti del gruppo Misto presenti a Montecitorio.
Una decisione contestata. “È stata bocciata la nostra proposta di abbassare di un terzo la cifra della raccolta firma, ma che avrebbe obbligato tutti a farlo”, spiega Colletti. C’è un paradosso ulteriore: l’emendamento esclude addirittura Azione di Carlo Calenda, che non rientra nei requisiti richiesti.
E, ironia della sorte, il testo è stato proposto da Magi, esponente di +Europa alleato di Calenda, e sottoscritto da Enrico Costa, deputato di Azione a tutti gli effetti. Ora, per bypassare la raccolta firme, l’ex candidato sindaco di Roma deve per forza andare in tandem con il partito di Emma Bonino.
“Porcata” di fine legislatura
Certo, non è la prima volta che vengono stabilite esenzioni: l’aggiramento della normativa è quasi consuetudine. Per il voto del 2018 la raccolta firme fu eliminata per le forze politiche rappresentate da un gruppo parlamentare, costituito almeno in uno dei due rami del Parlamento, entro il 15 aprile del 2017.
Nel 2008 l’approccio è stato ancora più generoso con l’obbligo rimosso per qualsiasi partito rappresentato da almeno due parlamentari o europarlamentari. Eppure c’è un modello che potrebbe essere assunto: quello del 2013, quando non fu prevista alcuna deroga.
“Questa è la maggioranza più ipocrita della storia repubblicana. Approfitta della conversione di un decreto che riguarda le elezioni amministrative, già celebrate, per infilare un emendamento che non c’entra nulla con l’oggetto della materia”, attacca Francesco Forciniti, deputato di Alternativa.
“Hanno preferito – aggiunge il parlamentare – ancora una volta piegare le istituzioni al loro tornaconto, disegnandosi un vestito su misura finalizzato alla loro auto-conservazione. L’ennesima vergogna che si consuma a scapito della democrazia italiana”.
E in effetti lo stratagemma non è proprio un incentivo alla partecipazione degli elettori.