Se qualcuno sperava che la notte portasse consiglio, si è sbagliato di grosso. Passano le ore e la situazione all’interno del Movimento 5 Stelle si fa sempre più esplosiva, con le due anime dei pentastellati che sono sempre più ai ferri corti tanto che parlare di scissione non è più tabù.
Del resto tutto – inclusa la possibile rottura definitiva nei 5S – ruota attorno all’ultima indiscrezione secondo cui i pentastellati starebbero valutando la possibilità di presentare una propria risoluzione per chiedere al governo di Mario Draghi lo stop all’invio di altre armi a Kiev e a Volodymyr Zelensky, da contrapporre a quella di maggioranza che il prossimo 21 giugno – pur con alcuni distinguo – ribadirà l’appoggio a Mr. Bce.
Qualcuno si potrebbe chiedere come mai questa risoluzione è così importante per la sopravvivenza stessa del Movimento. Il motivo è presto detto in quanto proprio l’appoggio al governo dei Migliori è stato al centro del botta e risposta iniziato giovedì tra l’ala governista, capitanata da Luigi Di Maio, e quella più battagliera, guidata da Giuseppe Conte.
Sulle armi a Kiev si spacca M5S, Di Maio all’attacco
In quello che era sembrato un primo round di un match di Boxe, i due se le sono date di santa ragione con il titolare della Farnesina che si è lanciato all’attacco con una micidiale serie di uno-due. “Non abbiamo mai brillato alle amministrative ma non siamo neanche mai andati così male” è stato il primo gancio rifilato da Di Maio a Conte.
“Credo che il M5S debba fare un grande sforzo di democrazia interna. Servirebbe maggiore inclusività nel dibattito interno”, per poi affondare il colpo con la bocciatura della linea di opposizione all’Esecutivo Draghi portata avanti dal presidente M5S: “Non credo che possiamo stare nel Governo e poi, per imitare Salvini, un giorno Sì e uno No, attaccarlo”.
Per questo, concludeva, “Non credo sia opportuno assumere decisioni che disallineano l’Italia dalla Nato e dall’Ue”. Parole a cui, a stretto giro, ha risposto Conte negando il presunto anti-atlantismo come anche l’anti-europeismo, per poi rifilare un metaforico destro in pieno volto a Di Maio affermando che “dice stupidaggini. È in fibrillazione per il secondo mandato”. Secondo mandato su cui è tornato a far sentire la sua voce anche Beppe Grillo che ha blindato il limite previsto dalle regole fondative del Movimento in vista della votazione degli iscritti sul tema.
La ripresa delle ostilità tra le due fazioni in guerra
Che il match non si sarebbe concluso così lo avevano capito tutti. Come anche il fatto che lo strappo fin dal primo momento è apparso troppo duro e profondo per sperare in una ricomposizione che, al passare delle ore, sembra un’ipotesi sempre più remota. Insomma con i nervi scoperti è bastata l’indiscrezione di una possibile risoluzione interna del Movimento per dire “basta armi all’Ucraina” per riattizzare il fuoco delle polemiche.
A prendere la palla al balzo è stato il ministro degli Esteri, evidentemente infastidito da questo rumor che sembra la risposta negativa proprio alla sua richiesta di assumere atteggiamenti più costruttivi verso il governo in carica. Per prima cosa Di Maio si è difeso dall’accusa di essere soltanto interessato al proprio futuro politico spiegando “che senso ha cambiare la regola del secondo mandato? Io invito a votare gli iscritti secondo i principi fondamentali del Movimento”.
Subito dopo è tornato alla carica denunciando il rischio che il Movimento diventi “una forza politica dell’odio. Io mi sono permesso semplicemente di porre dei temi e di aprire un dibattito su alcune questioni, come la Nato, come la guerra in Ucraina e la pace, come la transizione ecologica, come le ricette per le imprese, in cambio ho ricevuto solo insulti personali”.
Per il titolare della Farnesina “il nostro elettorato è disorientato” perché “non è chiara qual è la nostra ricetta per il Paese: non è un caso se il Pd sale nei sondaggi e noi scendiamo”. Ma è con l’ultima frase che arriva la frecciatina più pesante perché mira a rispondere proprio all’indiscrezione sulla risoluzione no-armi a cui starebbe pensando Conte: “Io credo che dobbiamo fare tutto quello che serve affinché nella risoluzione di maggioranza ci sia il massimo sostegno al presidente del Consiglio”.
A dargli manforte è intervenuto anche il senatore Primo Di Nicola secondo cui una risoluzione come quella di cui si parla “potrebbe contenere frasi o parole non in continuità con gli impegni parlamentari che abbiamo preso a febbraio, e che sostanzialmente potrebbero veder chiedere un disimpegno dell’Italia rispetto alla questione ucraina che tradirebbe gli impegni di febbraio e metterebbe in gravissimo imbarazzo il nostro Paese rispetto all’Unione europea e alle altre alleanze internazionali”. “La questione delle armi a Kiev ormai è diventata solo un pretesto mediatico” conclude Di Nicola.
“L’impegno dell’Italia per la pace e la gestione del Pnrr non permette distrazioni. Condivido la posizione politica del ministro Luigi Di Maio e non permetteremo interferenze immotivate al lavoro del governo o dubbi sul Patto Atlantico e sulla posizione autorevole nell’Ue con il presidente Draghi”. A dirlo è la sottosegretaria per il Sud e la coesione territoriale Dalila Nesci.
La risposta dei contiani sulle armi a Kiev non tarda
Dall’altra parte, in questa faida fratricida, parte il fuoco di sbarramento a difesa del presidente del Movimento. “Non sono nella testa di Luigi. Lui dice sempre che il Movimento è la sua casa, ma dimostra di non sapersi orientare nelle stanze di questa casa e che, anzi, vuole minarne le fondamenta” ha affermato, a La Stampa, l’ex capogruppo dei senatori M5S, Gianluca Perilli.
Secondo lui il ministro è criticabile “non solo per ciò che contesta, ma anche per i tempi e i modi in cui lo fa. Da parte sua manca la più basilare considerazione del ruolo di Conte e della legittimazione che ha avuto dal voto degli iscritti. Se non si ritrova più nel Movimento e se è a disagio, deve capire dove vuole andare”.
Ancor più duro e diretto il deputato M5S, Aldo Penna, secondo cui “volendo analizzarle, le dichiarazioni di Di Maio sono una dimissione di fatto dal Movimento e non vorremmo che le critiche corrosive alle quali si è lasciato andare non involontariamente, siano un tributo da pagare a future formazioni politiche”.
Insomma come i governisti si stringono attorno a Di Maio, anche i contiani fanno lo stesso con il proprio leader. Ma se nessuna corrente farà un passo verso l’altra per giungere a una tregua, allora la frattura non potrà che portare a una dolorosa scissione che finirebbe per far gioire soltanto i tanti detrattori del Movimento.