Su Julian Assange è finita come si sapeva che sarebbe andata, con la ministra dell’Interno britannica Priti Patel che ha ordinato l’estradizione del fondatore di Wikileaks negli Usa.
Una vergogna per tutto l’Occidente che si proclama democratico e liberale e mette un giornalista nelle mani di un Paese in cui rischia 175 anni per avere pubblicato documenti che dimostrano come gli Usa vorrebbero nascondere al mondo i propri crimini di guerra – in Iraq e Afghanistan – mentre si ergono giudici delle guerre degli altri.
Assange estradato negli Usa
“Un giorno buio per la libertà di stampa”, scrive Wikileaks, ma è un giorno buio per tutte le democrazie che non sono in grado di difendere il giornalismo quando è cane da guardia del potere e quando ha il coraggio e la forza di mostrare gli inganni del potere.
Ora Assange ha 14 giorni per presentare ricorso. Wikileaks ha scritto: “Chiunque in questo Paese tenga alla libertà di espressione dovrebbe vergognarsi profondamente del fatto che la ministra dell’Interno ha approvato l’estradizione di Julian Assange negli Usa, il Paese che ha complottato per assassinarlo”.
Da parte sua il ministero britannico emette un comunicato in cui dicono che “i tribunali non hanno ritenuto che sarebbe oppressivo, ingiusto o un abuso processuale estradare Assange” perché l’estradizione non “sarebbe incompatibile con i suoi diritti umani, compreso il suo diritto a un processo equo e alla libertà di espressione”, confermando di avere avuto rassicurazione dagli Usa che il detenuto “sarà trattato in modo appropriato, anche in relazione alla sua salute”.
Come ricorda sui suoi profili social la giornalista Stefania Maurizi, che ha seguito il caso Assange fin dall’inizio, nel Regno Unito ci fu una grande battaglia per impedire che la prigione di Belmarsh (dove si trova ora Assange) diventasse la Guantanamo inglese come avrebbe voluto Tony Blair e un’altra per impedire che diventasse legale usare prove ottenute sotto tortura.
Silenzio della politica su Assange
Noi in Italia abbiamo avuto i magistrati Armando Spataro e Ferdinando Pomarici che nel caso Abu Omar hanno preteso che ci fosse giustizia per un essere umano rapito in pieno giorno a Milano.
“Se le democrazie occidentali non sono sprofondate di nuovo nella barbarie medioevale, è per battaglie come queste – scrive Maurizi -. Il caso Assange e WikiLeaks è una di queste battaglie: diritto della stampa di rivelare criminalità di Stato ai più alti livelli e dell’opinione pubblica di conoscerla”.
Anche Amnesty International si è opposta all’estradizione: “Consentire che Julian Assange venga estradato negli Stati Uniti significherebbe esporre lui a un grande rischio e mandare un messaggio agghiacciante ai giornalisti di tutto il mondo”, ha dichiarato Agnes Callamard, segretaria generale dell’organizzazione. Secondo Amnesty le rassicurazioni degli Usa sarebbero insufficienti e non credibili dati “i precedenti della storia giudiziaria americana”.
Ciò che non cambia mai, in tutta questa storia, è l’infame silenzio dei leader politici nostrani, gli stessi che sono pronti a rilanciare il più piccolo caso di cronaca funzionale alla narrazione e ora tacciono di fronte a un caso di libertà violata sotto gli occhi del mondo.