di Cinzia Meoni
Chiudere il cancello quando i buoi sono già usciti di certo non è la migliore strategia per un governo. Tanto meno lo è quando da anni si parla di proteggere i nostri asset di interesse strategico nazionale. La scalata della francese Lactalis a Parmalat avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Ma appunto, il condizionale è d’obbligo, visto che a conti fatti, ci ritroviamo due anni dopo a discutere su come “salvare” Telecom Italia dalle mani “predatorie” di Telefonica. Che per un piatto di lenticchie, 850 milioni di euro o poco più, si è portata via il controllo di un gruppo capace di generare un margine operativo di 10,7 miliardi di euro (certo, gravato anche da oltre 28 miliardi di debiti. Ma questa è un’altra storia). E questo è quanto il Governo si appresterebbe a fare: proteggere le aziende strategiche per gli interessi nazionali quando hanno ormai già preso il volo.
Il piano
Mentre imperversano le polemiche l’esecutivo starebbe pensano di cambiare l’attuale normativa sull’Opa prevista nel 1998 (che prevede l’offerta pubblica obbligatoria sul mercato al superamento della soglia del 30%), lasciando alle singole società, soprattutto quelle di elevata capitalizzazione e con un azionariato polverizzato, la facoltà di fissare una soglia inferiore nei rispettivi Statuti. Lo ha detto il sottosegretario al Tesoro, Alberto Giorgetti, nel corso di una audizione parlamentare sulla vicenda Telecom Italia. E lo ha ribadito la Consob. Se non fosse che nel frattempo l’accordo per l’ascesa di Telefonica in Telco è già avvenuta. Per Giuseppe Vegas, presidente della Consob, c’è tempo fino a fine anno, ovvero fino a quando avverrà il formale passaggio di controllo nel colosso tlc presieduto da Franco Bernabè. Per ora infatti Telefonica salirà sì in Telco, ma senza oltrepassare, quanto a diritti di voto, l’attuale 46%. Una corsa contro il tempo che, con i tempi politici, avrebbe ben poche chance di riuscire. Ma ieri il mercato ci ha creduto. Telecom ha chiuso a 0,6 euro (+4%) con volumi record.
Le altre opzioni
E’ da un anno che il mercato è in attesa dei regolamenti attuativi della riforma della cosiddetta golden share (legge 56 del 2012) entro i limiti posti da Bruxelles. “E’ intenzione dell’esecutivo pervenire entro breve termine al completamento della definizione della normativa del cosiddetto golden power”, ha dichiarato Giorgetti. Nell’attesa che l’esecutivo si chiarisca le idee in merito, accennare alla normativa vigente potrebbe risultare interessante. Anche rispetto a Telecom Italia. La normativa prevede due modelli di tutela distinti a seconda del settore di appartenenza delle attività strategiche in gioco. Nei casi in cui si parla di difesa e sicurezza nazionale, i poteri di veto del Governo potranno essere usati in ogni caso di scalata da parte di qualsiasi “soggetto diverso dallo Stato italiano, enti pubblici italiani o da soggetti da questi controllati”. Nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni e dei trasporti, il Governo invece potrà sottoporre a condizioni quelle operazioni che rappresentino una situazione “di eccezionale minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti”. Inoltre all’esecutivo è dato anche il potere di veto ad un acquirente extra Ue. Ora, posto che Telecom è indubbiamente una società di interesse strategico, rimane da chiarire però lo scopo: se si ritiene che debba essere garantito il servizio di comunicazioni sul territorio, il gruppo rientra nella tutela più morbida. Ma, se si ritiene che la difesa della rete sia strategica per la sicurezza nazionale, come alcune dichiarazioni istituzionali lasciano pensare, si rientrerebbe nel primo caso. Almeno in teoria. Certo, sempre che ci sia volontà di intervenire.