Ora litigano addirittura i proponenti: pochi giorni prima del referendum sulla giustizia è Emma Bonino a tirare una stoccata a Matteo Salvini dicendo a La stampa il suo coinvolgimento “è arrivato in corsa su un’iniziativa del Partito radicale ma, raccolte le firme, sembra ora non gli interessi più la buona giustizia”.
“Mi pare – dice Bonino – sia più interessato a mettere in discussione le scelte di Draghi e a correre in soccorso dell’amico Putin (diciamo che il garantismo e la simpatia per quei regimi dove la libertà è annichilita sono un po’ in contraddizione) e i referendum non sono la priorità”.
È l’ultima puntata di un referendum che avrebbe voluto essere una battaglia epocale e invece si dimostra ogni giorno di più un colpo di tosse di quattro sprovveduti in cerca di populismo garantista. In fondo è il solito fumo che avvolge la discussione intorno a una seria riforma della Giustizia in questo Paese: per mettere mani nei delicati equilibri tra diritti e doveri, pene e giudizi bisogna possedere una credibilità che nessuno in questo momento ha.
La credibilità che non ha Matteo Salvini nella sua versione garantista, uno che da ministro all’Interno non ha imparato una sola riga di diritto internazionale e che ha alimentato gli intestini più vendicativi del Paese. Quello stesso Salvini che dopo avere baciato fucili e salami e dopo avere citofonato a qualche presunto spacciatore (mentre si abbracciava con criminali a tutto tondo) ora vorrebbe essere pacifista e garantista.
Ma è anche la credibilità che non hanno gli ex Radicali che su certi temi di Pannella sembrano avere mantenuto solo un timido marchio: pensare che possa essere un progresso democratico abolire la Legge Severino senza avere sul tavolo una proposta di riforma articolata per liberarsi di politici corrotti e condannati.
I referendum sulla giustizia si sono trasformati in uno scontro di poteri e di alleanze
Comunque la si pensi, al di là dei quesiti nel merito, questi referendum si sono trasformati in uno scontro di poteri e di alleanze: da una parte ci sono tutti gli impuniti (o quelli che sognano l’impunità) che cavalcano il garantismo per gli amici e dall’altra ci sono coloro che non hanno il coraggio di mettere in discussione una magistratura che spesso non funziona. Uno spettacolo avvilente da qualsiasi lato.
La credibilità, dicevamo. Un referendum nel bel mezzo degli ennesimi arresti del solito partito con la solita mafia nella solita Sicilia fotografa perfettamente l’autorevolezza nulla della classe dirigente. Un referendum spinto da un ex presidente del Consiglio che ha querelato i magistrati che lo indagano (perdendo) con le solite formule della “persecuzione” che per anni ha urlacciato Silvio Berlusconi.
Un referendum spinto da chi non vede l’ora di candidare Palamara proponendolo come esempio da seguire e sventolandolo come un simbolo, senza nemmeno conoscere nel merito le sue accuse. Un referendum spinto dai soliti noti che saltano sulla sedia ogni volta che c’è da bastonare un magistrato e poi sonnecchiano da anni su mafie e corruzione (mica per niente sparite dal dibattito pubblico).
Comunque la si pensi sui quesiti referendari su una cosa possiamo essere d’accordo: la sola idea che sia un Parlamento del genere a mettere mano nella Giustizia è spaventoso.