“L’unica cosa certa in questo marasma in cui siamo piombati è che non c’è certezza”. Per quanto possa apparire un controsenso è l’unica realtà che si respira in Parlamento. Specie dopo che sia Giuseppe Conte che Matteo Salvini hanno messo Mario Draghi sul chi va là. Il tema riguarda ancora una volta l’invio di armi all’Ucraina.
Armi all’Ucraina, sia Conte che Salvini hanno messo il premier Draghi sul chi va là
Il tema della possibile nuova spedizione continua infatti a catalizzare il dibattito politico, con i sempre maggiori distinguo di Lega e, soprattutto, M5s. “Spero non ci sia bisogno di votare nessun nuovo invio di armi. Prima si riapre il tavolo del dialogo, in campo neutro, che potrebbe essere in Turchia. A me piacerebbe fosse il Vaticano. Spero si trovi una sede dove confrontarsi”, ha detto ieri il leader della Lega ad “Aria pulita” su 7Gold, a proposito di come si comporterà la Lega in occasione del voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni del premier Draghi.
Il presidente del Consiglio è infatti atteso alla prova dell’Aula del Senato il 21giugno nel pomeriggio, mentre parlerà all’Assemblea di Montecitorio il 22, la mattina; un appuntamento alla vigilia del Consiglio Ue di fine giugno. Eppure tanto i pentastellati che il leader leghista continuano a ribadire che non ci sia alcuna intenzione di far cadere il governo, al contrario, “vogliamo rafforzarlo”, dicono. Il punto, però, resta sempre lo stesso: sarà vero?
Giuseppe Conte, dal lato suo, nei diversi appuntamenti elettorali dell’ultima settimana di campagna prima del voto di domenica prossima, ha ricordato che la posizione di M5s “sulle armi in Ucraina è molto chiara: l’Italia deve imprimere una svolta in Europa e in tutti i consessi internazionali. Adesso è il momento della diplomazia”.
Fino ad arrivare a sottolineare che “l’Ucraina a questo punto è ben armata. Ci sono paesi come gli Stati Uniti che continuano a rifornirla di ogni genere di armamenti e quindi non è di aiuti militari che ha bisogno. In questo momento la popolazione Ucraina ha bisogno di governi che spingano a livello internazionale per un negoziato di pace”.
Una posizione che non preoccupa il leader di Italia Viva, Matteo Renzi: “È tutta scena che serve ai grillini per racimolare visibilità e qualche decimale nei sondaggi. La verità è che Conte ha una sola strada: se pensa che Draghi stia sbagliando sulla politica estera, il leader grillino deve chiamare Di Maio e chiedergli di dimettersi. Ma non lo farà mai. Perché Conte non ha un minimo di forza per fare questo passo e Di Maio prima di lasciare il governo è pronto a lasciare i Cinque Stelle”, ha detto in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Secondo Renzi non ci sarà dunque alcuno strappo nel governo: “No, è tutto solo uno show -sottolinea – mi fa male vedere come la vicenda ucraina, drammatica e seria, sia trattata con superficialità solo per i sondaggi”.
Al centro della bilancia resta invece il Pd. Il segretario del partito Enrico Letta, comunque, ribadisce: “Questo governo deve tenere fino all’ultimo giorno”. E, al forum dell’agenzia Ansa, precisa: “Il problema non è il Pd ma la maggioranza nel suo complesso, noi abbiamo tenuto una linea concordata con il resto della Ue e credo che qualunque sia la posizione nel Parlamento, ci debba essere una linea in continuità con l’alleanza europea. Quella discussione in Parlamento non può che essere in continuità a meno che il 21 giugno succeda qualcosa che cambia tutto”. Ma l’auspicio è “un rafforzamento dell’impegno per la pace”.
Quasi come a dire che qualcosa potrebbe accadere ma è meglio non pensarci. Al momento, però, una rottura in maggioranza è lontana. I pontieri dem infatti stanno lavorando soprattutto con i pentastellati che questa volta non cederanno alle lusinghe di Draghi. L’unica soluzione sul tavolo a questo punto è una mediazione: una formulazione del testo che ponga l’accento sulla pace senza citare le armi, potrebbe mettere d’accordo tutti. Ma la mediazione, dicono al Nazareno, “può avvenire solo nel solco dell’unità nazionale indicata da Mattarella”.