Dopo la Spagna anche la Germania sale in cattedra e al Governo Draghi rifila una nuova lezione in tema di welfare e lavoro. Il parlamento tedesco ha deciso che dal prossimo 1° ottobre il salario minimo legale salirà a 12 euro l’ora. Attualmente è di 9,82 euro. A luglio salirà a 10,45 euro.
In Italia il M5S ha depositato da tempo un disegno di legge per introdurre il salario minimo
In autunno il nuovo ritocco verso l’alto. E in Italia, si chiede il M5S che ha da tempo depositato a prima firma Nunzia Catalfo (ex ministro del Lavoro) un disegno di legge per introdurre il salario minimo, che succede? Per ora è tutto in stallo. Il Belpaese non è solo uno dei pochissimi Stati membri Ue a non avere una legge sul salario minimo ma è anche il paese che in Europa ha il primato negativo sul fronte delle retribuzioni. In 30 anni da noi sono calate del 2,90% mentre in Germania sono cresciute del 33,70%, in Francia del 31,10%, in Irlanda dell’85%. Non solo.
La crescita dell’occupazione è trainata dal lavoro precario e discontinuo. Un risultato che è frutto di vecchie riforme, che hanno puntato tutto su una flessibilità senza controllo, e da ultimo dello smantellamento del decreto Dignità del governo Conte ad opera dei Migliori. Senza contare che non sono pochi i percettori del Reddito di cittadinanza che risultano lavoratori poveri.
Sicuramente oggi, per il pressing dei Cinque Stelle, il dibattito sul salario minimo comincia ad allargarsi ma la strada continua a essere lastricata di ostacoli. Il leader dei pentastellati, Giuseppe Conte, insiste: “Bisogna intervenire subito – ha detto – il progetto di legge è al Senato. La legge si può approvare in poco tempo”. Leu c’è.
Il Pd tentenna. O meglio Enrico Letta, che si è reso conto che il problema è diventato ineludibile, continua a ripetere che l’ideale sarebbe approvare il salario minimo entro questa legislatura altrimenti – promette – lo inserirà dentro il progetto dem per le prossime elezioni. Ma non la racconta tutta, perché parte del suo partito finora lo ha ostacolato. L’ala diciamo più a sinistra perché non voleva andare contro i sindacati, l’ala liberal perché non voleva andare troppo dietro a una battaglia del M5S e perché più incline a lasciare che il mercato sia a decidere.
Ma ora anche i sindacati, o almeno una parte di loro, sembrano svegliarsi. Finora preoccupati di perdere porzioni di potere nella contrattazione, di fronte al problema degli stipendi al palo, cominciano ad aprire anche al salario minimo. Così la Cgil così la Uil purché questo venga inserito nella cornice dei contratti “con tutti i diritti” che essi prevedono. Praticamente aprono alla proposta di Andrea Orlando.
Il ministro del Lavoro suggerisce di estendere l’applicazione del trattamento economico complessivo dei contratti più rappresentativi di un settore a tutti i lavoratori di quel comparto. Ma anche di fronte a questa proposta ci sarà da fare i conti con le resistenze di Confindustria e anche di una parte di sindacato, vale a dire la Cisl.
La proposta di Orlando però se è già un passo avanti si ferma per così dire un attimo prima dell’ultimo gradino. I Cinque stelle sono d’accordo a estendere erga omnes il trattamento economico complessivo dei contratti collettivi più rappresentativi: lo prevede anche il ddl Catalfo. Ma in più prevedono che qualora il contratto leader sia al di sotto di una certa soglia di povertà intervenga l’obbligo della soglia minima oraria retributiva pari a 9 euro.
Orlando annuncia comunque un tavolo con le parti sociali sul “lavoro povero” e guarda anche alla direttiva europea sui salari minimi: lunedì sarà al centro dei negoziati fra Commissione, Parlamento europeo e Stati, e la presidenza francese del Consiglio Ue intende approvarla formalmente il 16 giugno. Ieri anche il commissario Ue Paolo Gentiloni ha detto che “il salario minimo è indispensabile”.
Ma al centrodestra non va giù ed è pronto a opporsi in Commissione al Senato, dove l’equilibrio nei numeri è precario. “Il salario minimo non deve essere un tabù ma bisogna vedere come si fa”, nota il ministro dello Sviluppo economico, il leghista Giancarlo Giorgetti. “Siamo contro – spiega la senatrice di FI Roberta Toffanin -. Per garantire maggiore potere d’acquisto ai lavoratori va ridotto il cuneo fiscale e rivisto il Reddito di cittadinanza che blocca il sistema”.
A questo punto a sbloccare i lavori in Commissione potrebbe essere come sulla Concorrenza e sulla riforma fiscale il Governo anche se il rischio “accordicchio” ad opera dei Migliori è sempre dietro l’angolo.