Nel bilancio dello Stato italiano non si riesce a trovare un milione di euro per sostenere la lotta all’Aids. O meglio il governo non ha alcuna intenzione di farlo: la diffusione della malattia non è una priorità. Ci sono fondi per tutto, quando c’è la volontà, come testimonia l’ultima Legge di Bilancio. Ma non per le malattie sessualmente trasmissibili.
Per il Governo il contrasto alla diffusione dell’Aids non è una priorità
La certificazione è arrivata in commissione Bilancio alla Camera nella giornata di giovedì, quando è stato espresso il parere negativo del Ministero dell’economia e delle finanze, guidato da Daniele Franco, dopo la relazione redatta dalla Ragioneria generale dello Stato (Rgs). Una pietra tombale sulla proposta di legge firmata pensata da Mauro D’Attis, deputato di Forza Italia.
Ma l’appartenenza politica c’entra poco: il testo è stato sottoscritto da altri parlamentari, come Riccardo Magi di +Europa, Rossana Boldi della Lega e Roberto Giachetti di Italia Viva. Il problema toccato riguarda tutti. E il titolo della proposta è chiaro: “Prevenzione e lotta contro l’Aids e le epidemie infettive aventi carattere di emergenza”.
La relazione tecnica della Rgs usa parole severissime sulla legge di iniziativa parlamentare. E, in particolare, sulla copertura di un milione di euro per il 2023 viene opposto un secco no. Il motivo? I firmatari della proposta chiedevano che la somma fosse attinta dai “fondi di riserva e speciali” della missione “fondi da ripartire”.
Ebbene “il suddetto stanziamento è destinato per provvedimenti considerati prioritari per il Ministero medesimo”, si legge nel documento depositato a Montecitorio. Insomma, per il numero uno del Mef Franco il contrasto alla diffusione non è una priorità. Non si può concedere nemmeno un milione di euro.
Il parere negativo sul testo è arrivato per un’ulteriore ragione: le risorse vengono utilizzate per contrastare la malattia già nell’ambito del Sistema sanitario nazionale. E ci mancherebbe. Fatto sta che non c’è alcuna volontà da parte del governo di potenziare gli strumenti in tal senso. Eppure si parla di un fenomeno molto rilevante, anche per la sua storia.
Basti pensare a qualche decennio fa. E non solo. “Nel 2020, sono state effettuate 1.303 nuove diagnosi di infezione da Hiv pari a 2,2 nuovi casi per 100mila residenti”, riferisce l’ultimo dossier redatto dall’Istituto superiore di sanità sulla questione. Numeri non emergenziali, ma che confermano l’esistenza del problema.
Il progetto di legge, tra le varie cose, prevede di “contrastare il grave problema delle diagnosi tardive”, consentendo “alle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate per la cura delle malattie infettive di effettuare gli accertamenti per l’Hiv su richiesta di un minore che abbia compiuto i sedici anni di età, senza l’autorizzazione dell’esercente la responsabilità genitoriale”.
E ancora: si punta al “mantenimento degli organici relativi al personale medico e infermieristico delle strutture di ricovero per malattie infettive” e al “potenziamento dei servizi territoriali per le malattie sessualmente trasmissibili”, insieme al “rafforzamento delle funzioni dell’Iss in materia di sorveglianza, raccolta di dati epidemiologici e presidio di nuove emergenze infettive”. Dunque, una serie di misure puntuali per innovare l’approccio rispetto al contrasto dell’Aids. Interventi che costavano quanto spendono alcuni Ministeri per avere a disposizione i loro staff. Facendo passare un brutto messaggio.