di Monica Tagliapietra
“Nessuno può fermare la Tav, nessuno può fermare lo Stato sovrano”. Queste le parole del vicepresidente del Consiglio e ministro dell’interno Angelino Alfano, ieri mattina in visita al cantiere di Chiomonte, da cui partirà il maxi-tunnel per realizzare il nuovo collegamento ferroviario ad alta velocità Torino-Lione. Un sopralluogo per ribadire che il Governo è intenzionato ad andare avanti e che nulla potrà fermare l’opera, oggetto di contestazioni da ventidue anni, di proteste in cui alle famiglie pian piano si sono sostituiti i terroristi.
La visita
Il ministro Alfano è arrivato in Val di Susa insieme al capo della Polizia, Alessandro Pansa, al prefetto di Torino, Paola Basilone, al commissario di Governo della Torino-Lione, Mario Virano, al presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, e di numerose autorità civili e militari. Il vicepremier ha visitato il cantiere dove la “talpa”, la maxi-fresa che bucherà la montagna, realizzerà un tunnel di duecento metri di profondità, quello della Maddalena, uno degli interventi principali per la Tav. Un lavoro che ha fatto capire agli autori della protesta che lo Stato non è intenzionato a tornare indietro, tanto che in una valle in cui sono ormai più le forze dell’ordine che i residenti, dominata da posti di blocco e reti, da un’infinità di divieti, sono stati inviati altri duecento militari. Un teatro di guerra più che un cantiere per una grande infrastruttura.
“Sono qui – ha specificato il ministro Angelino Alfano – perché lo Stato protegge quest’opera, ne assicura la realizzazione, difende le maestranze e non concederà a nessuno di interromperla con la violenza e la deliquenza. La Tav si fa”.
Le contestazioni sulla nuova linea ferroviaria partono da lontano e risalgono agli anni novanta del secolo scorso. Per il Governo la Tav è un’opera fondamentale.
No Tav story
Di diverso avviso i valsusini, che a partire dal 1991 hanno dato vita a quel movimento No Tav che è poi diventato bandiera di tutte le contestazioni. I protagonisti della protesta hanno bollato l’opera come inutile ed eccessivamente costosa, essendo i traffici con i francesi rallentati ed essendo possibile migliorare le infrastrutture già esistenti. Una linea ritenuta causa di sperperi di denaro pubblico, uno sfregio alla montagna e un pericolo per la salute dei cittadini. Una protesta partita nei paesi della valle, dove si sono susseguite assemblee e manifestazioni, che hanno visto scendere in strada sindaci, rappresentanti delle associazioni e famiglie con bambini al seguito. La battaglia dei valsusini portò anche a modificare il progetto iniziale, ma poi le cose sono cambiate. Alle marce è subentrata la violenza. Il vento è cominciato a cambiare il 6 dicembre 2005, quando le forze dell’ordine fecero irruzione nel presidio che occupava i terreni dove doveva sorgere il cantiere e nello sgombero rimasero feriti venti manifestanti. Venne creato un Osservatorio, incaricato un commissario di Governo, dibattuta la vicenda nelle università e in Europa, coinvolgendo anche vip dichiaratisi a favore della protesta, come l’attore francese Gérard Depardieu. In valle hanno iniziato ad affluire anarchici italiani e stranieri, quelli che gli inquirenti definiscono “professionisti della violenza” e nulla è più stato come prima.
La deriva
Il vero spartiacque nella protesta può essere individuato nella manifestazione del 3 luglio 2011 a Chiomonte, dove si scatenò una guerriglia urbana con 200 feriti tra i manifestanti e 188 tra le forze dell’ordine. Attentati e minacce non si contano più. Il cantiere è stato militarizzato. Nei boschi vicini sono state utilizzate anche catapulte contro poliziotti e operai. Il no a un’opera ritenuta inutile, dannosa e costosa è diventata altro: no alla Tav per dire no allo Stato. Inquirenti e politici non hanno impiegato molto per rendersi conto che il clima era quello degli anni di piombo e a Torino le inchieste sono passate da quelle per manifestazioni non autorizzate a quelle per terrorismo, con la Digos intenta a monitorare gli ambienti antagonisti e le presenze in Val di Susa. Ipotesi che sembrano trovare conferme con la recente lettera di Alfredo D’Avanzo e Vincenzo Sisi, delle Nuove Br, ai no Tav, invitando i manifestanti al “salto in avanti”.