Prima o poi sarebbe ora che in Italia si decidesse di denazificare il calcio italiano. Prendere posizione non solo quando serve per vergare un accorato comunicato stampa o per fingere un antifascismo di facciata che ormai è poco più di una posa.
Prima o poi sarebbe ora che in Italia si decidesse di denazificare il calcio italiano
La vittoria della Roma all’Arena Kombetare di Tirana restituisce le immagini di diversi tifosi che in curva, mentre festeggiavano, sfoggiavano una maglia bianca con una scritta che non lascia troppo spazio alle interpretazioni.
“Roma marcia ancora”, si leggeva e il riferimento alla marcia su Roma che nell’ottobre del 1922 segnò l’inizio del regime fascista in Italia è evidente. Si tratta della stessa grafica che comparve su una bandiera nella Curva Sud dello stadio Olimpico lo scorso primo maggio per la partita dei giallorossi contro il Bologna.
In quel caso l’ex deputato del Pd e membro della direzione nazionale Marco Miccoli scrisse una lettera alla società calcistica definendo “quella bandiera che ogni domenica appare in curva, una delle più belle curve del mondo per tifo e passione […] un’offesa alla Città, ai suo martiri, alla nostra comunità ebraica, che pagò un prezzo tremendo e alla sua storia”.
“Quella bandiera è anche un’offesa ai noi tifosi che amiamo quella maglia, quei colori e che ad ogni partita facciamo sentire il nostro sostegno. È pertanto doveroso da parte vostra intervenire. Impedendo, tramite il servizio di sicurezza dello stadio, che quel vessillo continui ad essere sventolato impunemente”, scrisse Miccoli.
Non è un problema della squadra di Mourinho. Ogni domenica alcune tifoserie italiane si colorano di tinte nere. I gruppi che si dichiarano apertamente fascisti riempiono gli stadi. Il rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive del ministero dell’Interno dice che dei 328 gruppi attivi, 151 sono orientati politicamente. Di questi, 40 sono di estrema destra, 45 di destra, 33 di sinistra e 21 di sinistra radicale. Non è roba recebte.
“Il fascismo nelle curve – scriveva l’Espresso in una sua inchiesta sul tema – si infiltra durante il Ventennio: lo sport fa presa sulla gente e l’interesse popolare verso il calcio aumenta alimentato dai successi della nazionale con le due vittorie ai mondiali nel ‘34 e ‘38, e la medaglia d’oro alle Olimpiadi nel ‘36. Tutto ad aumentare il senso d’identità nazionale”.
Lo zoccolo duro del fascismo calcistico si trova nel Triveneto, con il Treviso, il Padova e il Vicenza, da sempre tenute d’occhio dalla Digos. Ma non solo. Sugli spalti dell’Hellas Verona siedono tifoserie di estrema destra che si sono fatti riconoscere per episodi fascisti e xenofobi. La tifoseria laziale è storicamente nera: il caso della foto di Anna Frank con la maglia della Roma è solo uno degli episodi più noti.
Nella curva nord dell’Inter uno dei leader storici era Paolo Coliva (detto “l’Armiere”), già nel gruppo dirigente di Azione skinhead a Milano, arrestato nel dicembre del 1990 per l’accoltellamento di un giovane dei centri sociali e morto di Aids nel 1993. Poi ci sono le tifoserie dei club minori sparsi per l’Italia.
Negli stadi il senso di impunità per gesti e parole che sarebbero vietati per legge e per Costituzione gode di ottima salute. Del resto siamo il Paese che qualche mese fa urlava ai quattro venti di voler chiudere le organizzazioni neofasciste. Ricordate com’è finita? Con un abbraccio, come allo stadio dopo il fischio finale.