di Maurizio Grosso
Si fa davvero fatica a crederci. Anche perché se fosse vero sarebbe il segno (non il solo, a dir la verità) di una classe politica e manageriale allo sbando. Eppure ieri in Senato è andato in scena uno spettacolo a dir poco surreale. Il giorno dopo l’ufficializzazione della presa di controllo di Telecom da parte degli spagnoli di Telefonica, il presidente del gruppo italiano, Franco Bernabè, ha detto chiaro e tondo alla commissione industria di palazzo Madama: “Non sapevo del riassetto”. Solo “dalla lettura dei comunicati stampa”, ha spiegato il manager, è stato possibile venire a conoscenza “della recente modifica dell’accordo parasociale tra gli azionisti di Telco”. Quest’ultima è la cassaforte a cui fa capo il 22,4% di Telecom. Ebbene, a stare a quanto riferito da Bernabè in Senato, le trattative tra Telefonica e i soci italiani di Telco, ovvero Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo, sarebbe stata praticamente ignota ai vertici dell’azienda italiana di tlc. La quale avrebbe appreso della scalata di Telefonica, che arriverà al 70% di Telco, praticamente a giochi fatti. E così, per circa 850 milioni di euro, gli spagnoli nei prossimi mesi avranno l’opportunità di portarsi a casa il controllo della società italiana.
Nessuno sapeva
Ma Bernabè non era il solo a non sapere. A quanto pare l’operazione è avvenuta anche all’insaputa di alcuni autorevoli esponenti del governo. Per esempio del viceministro dello sviluppo economico, Antonio Catricalà. Anche lui coinvolto in un’audizione a palazzo Madama, Catricalà si è inserito nella scia di Bernabè sostenendo che “il governo è stato avvertito a cose fatte”. Poco dopo, ai microfoni di Sky Tg24, il viceministro ha rincarato la dose spiegando che “noi del governo parlavamo con il presidente Bernabè, che ci informava delle proposte presentate al consiglio di amministrazione per sviluppare e rafforzare l’azienda, ma mai avremmo immaginato quello che è successo”. Insomma, se Bernabè non sapeva e il governo parlava solo con Bernabè ne consegue che il governo non sapeva. Una grottesca applicazione della proprietà transitiva. Scenario incredibile, non c’è che dire, rispetto al quale i commenti di Bernabè e Catricalà si commentano da soli. Al punto che come una pezza fuori tempo massimo è arrivato il commento del premier, Enrico Letta, che ieri ha disperatamente tentato di fornire garanzie: «Ci sono gli asset strategici, come la rete, che non vogliamo perdere».
Il nodo della rete
Ed è proprio sulla sorte della rete gestita da Telecom che ieri è proseguito il dibattito. Governo e azienda, infatti, hanno cercato di fornire rassicurazioni sostenendo che va avanti il piano di scorporo della rete che dovrebbe andare alla Cassa depositi e prestiti. In questo modo verrebbe mantenuto un presidio pubblico su un asset ritenuto strategico. Ma in molti fanno notare che la cessione della rete alla Cdp sarebbe allo stesso tempo un affare per le banche, garantito con soldi pubblici. Le risorse con le quali la Cdp rileverebbe la rete, infatti, deriverebbero dall’enorme massa di risparmio postale dei cittadini che la stessa società ha in gestione. E delle medesime risorse beneficerebbero le banche, in primis Mediobanca e Intesa Sanpaolo, per recuperare gli ingenti crediti che hanno concesso a Telecom.