Ormai Draghi si crede lo zar. Sulla guerra in Ucraina decide tutto lui. Niente voto in Parlamento. Avanti tutta con le armi a Kiev

Il premier Mario Draghi convoca i ministri e minacciando di andarsene impone la 51esima fiducia sul decreto Concorrenza.

Il senso dell’informativa tenuta dal premier in Parlamento sta tutto nell’ultimo passaggio del suo intervento. Con cui assesta uno schiaffo alle forze di maggioranza, M5S in prima battuta, che continuano a chiedere un mandato politico al premier su un eventuale nuovo invio di armi a Kiev. Mario Draghi non arretra di un millimetro: nella versione di Palazzo Chigi fa fede la risoluzione approvata dalle Camere nel marzo scorso che ha dato l’ok all’esecutivo per il sostegno militare all’Ucraina.

Sull’invio delle armi all’Ucraina il premier Draghi decide lui da solo

Quella risoluzione approvata a larghissima maggioranza – argomenta l’ex banchiere – ha impegnato il Governo a sostenere dal punto di vista umanitario, finanziario e militare l’Ucraina, a tenere alta la pressione sulla Russia, anche attraverso sanzioni, a ricercare una soluzione negoziale.

“Essa – dice – ha guidato in modo molto chiaro l’azione di Governo e ha rafforzato la nostra posizione a livello internazionale. Il Governo intende muoversi e continuare a muoversi nel solco di questa risoluzione”. Insomma non c’è trippa per gatti. A parole Draghi ribadisce il refrain pacifista intonato a Washington durante la visita a Joe Biden:”Per impedire che la crisi umanitaria continui ad aggravarsi dobbiamo raggiungere il prima possibile un cessate il fuoco e far ripartire con forza i negoziati”.

E l’Italia in questo senso sarebbe in prima linea nella ricerca della pace. Ma, è l’avvertimento del premier rivolto a quanti criticano l’invio di armi, “se oggi possiamo parlare di un tentativo di dialogo, è grazie al fatto che l’Ucraina è riuscita a difendersi in questi mesi di guerra” e dunque “l’Italia continuerà a sostenere il Governo ucraino nei suoi sforzi per respingere l’invasione russa”.

Certamente, spiega, “lo faremo in stretto coordinamento con i nostri partner europei. Ne va non solo della solidità del legame transatlantico, ma anche della lealtà all’Unione europea”. E su questo, fa capire, il Governo non indietreggerà nonostante il pressing di alcuni partiti, perché c’è un preciso mandato nella risoluzione di marzo e il Governo ha riferito più volte sul tema al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, che ha sempre “riscontrato la coerenza del sostegno offerto rispetto alle indicazioni e agli indirizzi del Parlamento”.

Parole che ancora una volta mandano in fibrillazione la maggioranza. Da una parte ci sono i vari Renzi e Calenda che si inchinano all’ex banchiere e osannano il suo verbo. Dall’altra il M5S che non molla sulla richiesta che l’Aula possa tornare a esprimersi con un voto. “Quando chiedo un aggiornamento della risoluzione penso al rilancio di un confronto in Parlamento alla luce di quanto è emerso nel Paese in queste settimana, in modo da interpretare la nuova fase a favore della ripresa del negoziato. E per quanto riguarda l’invio delle armi, la nostra posizione è nota: abbiamo già dato”, dichiara il leader M5S Giuseppe Conte.

E sebbene non chieda un nuovo voto e apprezzi gli appelli alla pace di Draghi, agli atti rimane il dissenso della Lega sull’invio di nuove armi: “Qualcuno in quest’aula parla di inviare altre armi, io non ci sto”, tuona il leader della Lega, Matteo Salvini. Sottoscrive le parole di Supermario anche il Pd.

Anche se Enrico Letta, con la sua proverbiale ambiguità, aggiunge che se ci sarà bisogno di tornare in Parlamento e di votare il suo partito non si sottrarrà. Forza Italia rimane in una zona grigia. In Parlamento gli interventi degli azzurri sono tutti pro Draghi ma nessuno ha dimenticato l’uscita di Silvio Berlusconi contro l’invio di armi.

Tanto che l’azzurra Lucia Ronzulli rimane molto vaga e non prende posizione sul (rinnovato) sostegno militare all’Ucraina. Draghi non dimentica di ringraziare anche la principale forza di opposizione. Quei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che ieri si sono accodati nel sottoscrivere le parole del premier.