Non è stato l’assalto finale immaginato dopo le parole dure pronunciate poche ore prima. Ma è un paletto ben piantato sul cammino del governo e, in prospettiva, sull’eventuale alleanza con il Partito democratico: Giuseppe Conte ha messo le cose in chiaro con Mario Draghi.
Giuseppe Conte ha messo le cose in chiaro con Mario Draghi.
Il Movimento 5 Stelle chiede di essere ascoltato, non vuole compiere fughe in avanti. “Non mi diverto a creare problemi al governo, ma nessuno può chiederci di stare in silenzio”, è la frase-chiave del suo ragionamento. La fuoriuscita dalla maggioranza non è all’ordine del giorno, a meno che non sia Palazzo Chigi, insieme agli altri partiti, a spingere il M5S fuori dall’esecutivo.
Sulla questione centrale, la linea sulla guerra in Ucraina, Conte ha ribadito la necessità di impegnarsi ad accelerare sulla possibilità di negoziati tra Kiev e Mosca, come del resto ha sottolineato il presidente del Consiglio nella sua visita a Washington. Un fatto che lo stesso Conte ha annotato: “Le parole del premier sono vicine alla nostra posizione prudente”.
E peraltro in linea con il presidente francese, Emmanuel Macron, che ha parlato della necessità di non “umiliare” il leader di Mosca. Insomma, una linea che viene elogiata se perseguita altrove o dall’attuale inquilino di Palazzo Chigi, ma che nei confini italiani viene sbeffeggiata. Ed etichettata come favorevole alla Russia.
Conte ha dunque smentito l’illazione secondo cui sarebbe “amico di Putin” perché chiede un processo di pace. La posizione che, durante l’intervento di ieri, ha spiazzato i detrattori riguarda l’adesione della Finlandia alla Nato. “La loro richiesta va compresa e valutata con attenzione, credo sia giustificato che di fronte a uno scenario come questo voglia sentirsi rassicurata”, ha scandito l’ex presidente del Consiglio.
Non proprio le parole di un filo-Cremlino e vorrebbe piegarsi ai desiderata di Putin, che vede l’ingresso di Helsinki nell’Alleanza Atlantica come un dito nell’occhio. Anche la descrizione di un Movimento 5 Stelle anti-Ue si è sgretolata: “L’Unione europea deve rafforzare i suoi meccanismi di integrazione sul piano politico”. Quindi ha dichiarato di essere favorevole “a una difesa europea e a una politica estera comune per rafforzare il quadro multipolare”.
Quindi un modo per “regolamentare meglio i rapporti fra Unione europea e Nato, perché gli interessi non sono sempre sovrapponibili”. Un’Europa più forte, quindi. Altro che anti-europeismo. Il segretario del Pd, Enrico Letta, non ha detto delle cose tanto diverse sullo sviluppo del progetto europeo.
Le dichiarazioni dovrebbero rasserenare anche gli animi bollenti tra i dem, che nelle ultime settimane sono stati più comprensivi con i partiti di centrodestra che con il M5S. Conte ha semplicemente spiegato che non accetterà la subalternità verso governo e, ovviamente nei confronti degli alleati. Ora e in futuro. Certo lo scenario si ribalta se, come già anticipato da La Notizia, nel Pd prende davvero quota la tentazione di trasformarsi nel “partito di Draghi” (come ha suggerito apertamente il sindaco di Bergamo Giorgio Gori), portando avanti l’agenda dell’ex Mr. Bce.
Addirittura candidandolo per un bis a Palazzo Chigi. Del resto la questione di Roma e dei rifiuti rischia di segnare uno spartiacque per il futuro. “L’inceneritore è una tecnologia del passato, produce scorie pericolose e fumi inquinanti”, ha scandito. È evidente che di fronte alla “calendizzazione” dei dem, Conte non potrebbe prendere atto e proseguire lungo la sua rotta.