Da sempre, nel nostro Paese, ci sono due correnti di pensiero riguardo alla stabilità occupazionale, e l’una confligge con l’altra. Anche oggi il dibattito si ripropone. Da una parte, si sostiene come unico contratto d’ingresso quello a tempo indeterminato, dall’altra si propongono forme contrattuali plurime e flessibili.
In questo vecchio e al tempo stesso attualissimo dibattito, il presidente dell’associazione di imprese Cifa, Andrea Cafà, puntualizza che la flessibilità, se ben affiancata, non solo non porti alla precarietà ma garantisca la stabilità occupazionale e, addirittura, la sua crescita, in quanto fa emergere il lavoro sommerso.
Cafà delinea lo scenario di riferimento: “Il moderno mercato del lavoro si fonderà sempre di più sulla domanda e sull’offerta di competenze necessarie a far fronte a cicli produttivi anche brevi e in forte evoluzione. Questo porterà a continue transizioni occupazionali”.
“Se le cose stanno così, la stabilità – continua il presidente di Cifa – non può essere garantita dal contratto di lavoro a tempo indeterminato ma da una flessibilità contrattuale sostenuta da un sistema di politiche attive “efficaci” e di garanzie sociali “per tutti”.
Sono convinto che l’occupazione non si crei intervenendo con riforme che irrigidiscono il mercato del lavoro, ma con investimenti verso i settori produttivi e rafforzando le nuove competenze che oggi il mercato del lavoro richiede e non trova”.
“Forse con il tempo verificheremo che è proprio la maggiore flessibilità a garantire la stabilità occupazionale” conclude Andrea Cafà.